La prima dimensione, la più nota, è quella che è stata immortalata nei ventinove (quasi trenta, perché l’ultimo, Something’s Goto Give è rimasto incompiuto) film che ci ha lasciato. E’ la dimensione, diciamo così, cinetica, quella viva e in movimento la dimensione in cui parla, si muove, sculetta, sorride, ammicca, seduce con le parole e con il linguaggio del corpo. Un corpo che sembra dire: “eccomi qua, mi puoi toccare perché sono viva e sono tua. Basta che tu allunghi le mani”.
Il più clamoroso caso di seduzione collettiva perpetrata attraverso la celluloide!
Billy Wilder, che la detestava per la sua scarsa serietà professionale e per i suoi ritardi sul set (evidentemente non conosceva, o forse non voleva prestarvi fede, le sue condizioni psico-fisiche) ma che l’ammirava moltissimo per le sue qualità di attrice e per il suo essere, totalmente, uno straordinario “animale di cinema”, diceva: “quando riguardo Marilyn Monroe su una pellicola ricevo la sensazione della carne viva. Ho come l’impressione di poterla toccare” .
Ma Marilyn doveva essere anche una grande attrice, se il suo talento riesce a superare quasi sempre la dimensione del fascino che emanavano il suo volto e il suo corpo. Seduce sì, ma la sua non è una seduzione meccanica bensì totale perché arriva attraverso personaggi costruiti con grande talento e con meticolosità.
La seconda dimensione è meno conosciuta, anche se cronologicamente si è manifestata per prima: la dimensione fotografica. Non dimentichiamo che Marilyn Monroe ha cominciato la sua carriera artistica come fotomodella, quando ancora si chiamava Norma Jean e non aveva subìto la seduzione del cinematografo, al quale, del resto, arriverà attraverso la fotografia.
Quelle immagini fisse di ragazzina di provincia grezza ed acerba ma già solare e dolcissima, con quei capelli fulvi e crespi che non sono ancora passati tra le mani sapienti di un vero parrucchiere, lo sguardo involontariamente malizioso, che le scattò André de Dienes nei paesaggi dei pionieri, si può dire che già vivano di vita propria. E che siano arrivate a noi conservando vivi quegli attimi di vita che carpirono e fissarono sulla lastra fotografica.
Marilyn rimase per tutta la vita una fotomodella, anche quando era diventata una diva famosissima. E’ probabile che amasse di più farsi fotografare che comparire davanti alla macchina da presa. Le era comunque molto meno faticoso e più spontaneo. Si ha la sensazione, insomma, che all’obiettivo fotografico si abbandonasse istintivamente mentre forse la macchina da presa le provocava dubbi dolorosi e fatiche talvolta insopportabili.
Raramente Marilyn si negava ad un fotografo, neppure quando qualcuno di loro le chiese di posare nuda, in un’epoca in cui il nudo era tabù in tutto il mondo. Persi-no negli ultimi giorni della sua vita si concesse alla macchina fotografica nuotando nuda in una piscina. E non volle neppure essere pagata, quasi volesse considerare la sua prestazione come un estremo omaggio all’arte della fotografia ed ai fotografi che tanto avevano contribuito alla costruzione del suo mito. Anche quelle foto – come tutte le altre che documentano, si può dire, ogni fase della vita di Marilyn, dalla pubertà all’esplodere della bellezza fino alla maturità rigogliosa – contengono una capacità di seduzione, pur nella loro fissità, nella loro mancanza di movimento e di parola, pari a quella della dimensione cinematografica. E talvolta anche di più, come nella famosa foto, probabilmente l’ultima della sua vita, in cui affiora (o forse sta per inabissarsi per sempre?) nuda dalla piscina, con la testa ed una coscia.
La terza dimensione è la meno conosciuta perché bisogna estrapolarla dai suoi film, dove spesso canta.
Avevamo sentito cantare Marilyn Monroe in alcuni dei suoi film ma avevamo considerato questa attività complementare a quella cinematografica. Ascoltate tutte insieme, queste canzoni ci danno la sensazione di una dimensione autonoma. La terza, appunto.
Nel canto, in cui tra l’altro gli spettatori italiani possono sentire la sua vera voce, Marilyn conserva, sprigionando dal suo corpo morbido una voce dolce e delicata, tutte le sue capacità di seduzione.
Quando la sentì per la prima volta in Gli uomini preferiscono le bionde, Zanuck credette che fosse doppiata da una cantante professionista. I pregiudizi nei suoi confronti dovevano essere ben forti se un intenditore come Zanuck non capì immediatamente che quella non poteva che essere la voce di Marilyn.
Dopo molti decenni dalla tragica morte, Marilyn oggi appare più viva che mai, forse proprio perché non abbiamo assistito al declino dell’invecchiamento e le sue immagini, nelle tre dimensioni, sono rimaste come mirabile modello di bellezza femminile che, passato attraverso tutte le generazioni, è giunto fino a noi e sicuramente si proietterà nel futuro.