Se vuole continuare a lavorare Nina dovrà assecondare gli appetiti sessuali del dirigente. La storia è inventata ma è drammaticamente plausibile e frequente. La racconta “Nome di donna”, il film di Marco Tullio Giordana in uscita nel cinema l’8 marzo 200 copie distribuito da Videa.
La storia arriva nel bel mezzo del movimento #metoo e delle molestie di cui si parla anche in Italia, ma era stato ideato molto prima che il tema diventasse così seguito. Parla di Nina (Cristiana Capotondi), ragazza madre che va da Milano a un paese lombardo per lavorare come assistente in una residenza per ricchi anziani. Ma il lavoro ha un prezzo inaspettato: le attenzioni del dirigente Marco Maria Torri (Valerio Binasco).
“Due anni fa quando mi hanno proposto il film non è che il problema delle molestie sessuali non esistesse, ma non era così sugli scudi come oggi – osserva oggi a Roma Giordana -. Non volevo però fare un film di denuncia militante, solo raccontare di un personaggio femminile coraggioso e di quello che succede alle altre donne intorno a lei. Tutti personaggi non vengono giudicati mai troppo”, conclude il regista sempre con le antenne alzate e capaci di catturare l’aria collettiva e autore de “La meglio gioventù” e “I cento passi”.