Weinstein nel 2014 produsse un docufilm sulle violenze sessuali nei campus universitari | Giornale dello Spettacolo
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Weinstein nel 2014 produsse un docufilm sulle violenze sessuali nei campus universitari

A dirigerlo fu il regista Kirby Dick, che ha annunciato, insieme alla sceneggiatrice Ami Ziering, girerà un film sui predatori sessuali di Hollywood.

Weinstein nel 2014 produsse un docufilm sulle violenze sessuali nei campus universitari
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Diego Minuti Modifica articolo

25 Ottobre 2017 - 11.38


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Mai dire di avere visto tutto, soprattutto se si parla di Hollywood. Il mondo luccicante e corrotto, raccontato da Kenneth Angers alla fine degli anni Cinquanta colla definizione di ‘Hollywood Babilonia’ (chi sa se dell’autore o di un illuminato editore), sembra non essere mutato nella sostanza. Cambiano i nomi, cambiano gli ambienti e le abitudini, ma il fatto che il sesso sia una moneta di scambio (ricatto contro lavoro) sembra essere rimasto lo stesso. Eppure ci sono delle circostanze che si intrecciano, danno il via a degli sviluppi, che appaiono incomprensibili ad una mente razionale, ma in chi crede (in Dio, nell’onestà) hanno un senso. E quindi appare quasi come un controsenso che nel 2014 proprio Harvey Weinstein )proprio ‘l’orco con la faccia butterata, come lo ha etichettato una delle sue vittime) con la sua casa cinematografica, produsse un documentario sulle molestie, le aggressioni, le violenza sessuali che hanno come teatro i campus universitari americani.
Un documentario coraggioso, duro come un pugno nello stomaco (gli americani hanno con l’università un rapporto simbiotico che non ha eguali al mondo ed alla quale sono disposti a perdonare tutto), ma che, prima o poi, bisognava fare perchè non era più possibile tacere quel che di terribile accade, a cadenza quotidiana, nei luoghi in cui il Paese forgia i reggitori del suo futuro.
Il documentario, firmato da Kirby Dick, fu come uno schiaffo in faccia all’America, perchè mise davanti agli occhi di tutti che le università, i college erano sì luoghi di apprendimento e crescita personale, ma anche l’enclave di un modo di pensare in cui l’uomo deve essere macho e la donna debole e quindi succube.
Gli Stati Uniti, che con lodevole perseveranza riescono ad assorbire e metabolizzare tutte le notizie che scalfiscono il loro modello di Paese, accolsero quasi con distacco quelle testimonianze che Dick aveva raccolto in giro per il Paese, quasi come se quelle aggressioni, quelle violenze fossero delle ragazzate, come rompere un lampione, bucare delle ruote, usare la vernice di bombolette spray contro muri e vagoni della metro.
”The Hunting Ground” creò interesse, raccolse premi e nomination (anche all’Oscar, per la musica), ma restò nel novero di quelle opere che creano fastidio più che imbarazzo.
E, seppure oggi questo potrebbe suonare quasi come una bestemmia, fu lodevole il fatto che a sostenerne la realizzazione sia stata la casa editrice di un uomo che, per abitudine, per malattia, per vizi, decidete voi, vedeva le donne, soprattutto quelle sulle quali poteva fare mostra del suo potere nel mondo del cinema, come carne fresca, da mangiare a suo piacimento e quando voleva.
Ora che è arrivato al capolinea, Weinstein forse rimpiangerà di non avere fatto tesoro delle cose che Kirby Dick diceva e filmava.
Dick è un regista che crede molto nel cinema sociale, ed un altro suo documentario, nel 2012, ”The Invisible warr”, trattò le stesse tematiche delle violenze sessuali, spostando la sua attenzione su quanto accadeva in un altro santuario del modello americano, le forze armate,  raccontando le molestie, ma anche i traumi che marchiavano indelebilmente le vittime.
Su quanto accade dietro i lustrini di Hollywood, Kirby Dick e Ami Ziering, la sceneggiatrice che lo accompagna spesso nel suo lavoro, volevano fare qualcosa da tempo. Ma si erano trovati davanti la ritrosia a confessarsi delle vittime, che facevano delle ammissioni, rifiutandosi però di farlo davanti ad una cinepresa. E la loro idea non aveva raccolto granchè di consensi tra i produttori ai quali si erano rivolti e che forse non volevano andare ad infilarsi in un’opera destinata a creare clamore. Anche se girata senza cadere nel pruriginoso.
Sembrava impossibile poterlo girare, dicono oggi i due cineasti, aggiungendo però che con il moltiplicarsi delle accuse contro Weinstein e di altri predatori di Hollywood ”è come se un muro fosse crollato”. Non il muro dell’omertà, che invece resiste, ma quello della paura. Come quando si trova il coraggio di accusare perchè è l’unica cosa da fare.

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