Lo chiamavano Bulldozer ed anche Piedone, ma per tutti era Bambino, l’imponente e barbuto cow boy che mena sganassoni, ristabilisce i torti e si gode la vita insieme a suo fratello e compagno di avventure Trinità. Un ruolo ben definito e col tempo delineato in decine e decine di film, che ha fatto di Carlo Pedersoli, uno dei beniamini del pubblico di tutto il mondo.
Era il gigante buono del cinema l’attore spentosi in punta di piedi a 86 anni. Non solo per le parti che gli venivano affidate ma anche fisicamente, dall’alto del suo metro e 93 e dei suoi 125 chili di peso. Due spalle da armadio costruite con una carriera giovanile come nuotatore per i colori biancocelesti della Lazio, che lo aveva portato ad affermarsi e vincere nello stile libero e nelle staffette miste e a partecipare a tre Olimpiadi e agli Europei con gli Azzurri. Nella storia, come il primo italiano a infrangere la barriera del minuto nei 100 metri.
Affabile, simpatico e dai modi eleganti, prima di affermarsi come attore aveva fatto di tutto e bene, rivelandosi un talento nell’ingegno e nella versatilità. Studente universitario, emigrato in Sud America, costruttore di autostrade (la Panamericana), segretario d’Ambasciata, dipendente dell’Alfa Romeo, autore per la Vanoni e Nico Fidenco, produttore di documentari, tanti ruoli di una vita intensa coronata a livello privato, dopo la partecipazione alle Olimpiadi del 60 a Roma, con le nozze con Anna Amato, figlia del produttore Peppino (un titolo su tutti, La dolce vita).
Ma non fu quella parentela illustre a favorirlo nel cinema. Lui già aveva debuttato in “Quo vadis” (guardia dell’Impero romano) per poi proseguire tra un viaggio e l’altro in Venezuela, in “Un eroe dei nostri tempi” di Monicelli, antagonista di Albertone nella corte a Giovanna Ralli. La svolta nella sua carriera fatta di piccole partecipazioni, grazie al regista Colizzi, che lo vuole in “Dio perdona..io no!” dove conosce il futuro inseparabile compagno Massimo Girotti-Terence Hill col quale forma da quel momento una coppia inossidabile per questo genere di produzioni.
Nasce così il Bud (dal nome della birra) Spencer (omaggio a Spencer Tracy), che tutti abbiamo conosciuto e con cui ci siamo divertiti e che insieme all’aitante Hill, girerà 16 pellicole che sbancano regolarmente il botteghino e saranno viste in mezzo mondo, a cominciare dal film cult “Lo chiamavano Trinità” di Enzo Barboni, alias E. B. Clucher che inaugura un genere nel genere. Il western comico, o se volete la parodia degli Spaghetti western che si erano imposti grazie a Sergio Leone con la “Trilogia del dollaro”.
Film divertenti, senza tante pretese ma che soddisfano platee trasversali e aiutano il cinema coi loro incassi, film dove le scene clou delle risse esageratamente incredibili e delle scazzottate grottesche senza spargimento di sangue ma solo di risate, sono puro divertimento per tutti e al tempo stesso esaltazione della scuola italiana degli stuntmen. Nessuno infatti si fa male davvero, tutti cadono e si rialzano e nessuno muore. E loro in questo contesto si muovono a loro agio e piacciono perché sono una specie di cartone animato.
E il successo non diminuisce, anzi aumenta, se cambiano le location e le storie: “Più forte ragazzi”, “Altrimenti ci arrabbiamo”, “I due superpiedi quasi piatti”, Miami supercops”. E’ sempre un trionfo. Che ci sarà anche quando il grande e grosso Bud lavorerà da solo nei vari Piedone, o in film come “Banana Joe” o “Bomber”.
Tanti successi e anche un po’ di amarezza per non essere stato abbastanza considerato da quel mondo del cinema in cui era entrato quasi per caso finendo poi però per dedicargli la vita. “In Italia io e Terence semplicemente non esistiamo – si era lamentato spesso e a più riprese-, nonostante la grande popolarità che ancora oggi abbiamo fra i giovani e i bambini non ci invitano neanche ai festival”, circostanza sicuramente vera e in parte recuperata con la consegna del David di Donatello alla carriera nel 2010 a loro due.
Una star vera ma un antidivo nel profondo, disponibile con tutti e con la battuta pronta da buon napoletano, un attore amato da tutti e che suscitava buonumore solo nel vederlo, questo è stato Bud Spencer indimenticato eroe che coi pugni faceva ridere invece che soffrire. La conferma dell’affetto nei suoi confronti si è avuta dal cordoglio unanime che si è manifestato non appena ieri sera si è sparsa la notizia battuta dall’Ansa che ha diffuso le parole del figlio Giuseppe: “Papà è volato via serenamente alle 18,15. Non ha sofferto, aveva tutti noi accanto e la sua ultima parola è stata “grazie”” .
Da quel momento i social sono esplosi nel dolore e nel rammarico per la sua perdita, migliaia di post su Facebook nelle varie pagine personali e su quella dedicata a lui, su Twitter l’hastag #BudSpencer è schizzato al primo posto nelle TTrends dove tutti (da Buffon a Renzi, da Jovanotti a Salvini) hanno ricordato con tanta malinconia questo grande personaggio.
E non poteva essere altrimenti, perché Bud Spencer ha accompagnato generazioni con la sua comicità particolare, con la sua bonomia d’altri tempi, con la sua professionalità autentica. L’infanzia è finita per sempre. Ora che non c’è più resteranno i suoi film a farcelo rivivere e a ricordarlo con simpatia per sempre. Lui intanto lassù, proverà concretamente a mettere in pratica quello che predicava in uno celebre film: anche gli angeli mangiano fagioli.
ALTRIMENTI CI ARRABBIAMO