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Luca Zingaretti: amo il documentario, ci informa ed emoziona

Claudia Sarritzu intervista Luca Zingaretti ideatore e direttore del PesaroDocFest che parte il 24 giugno ed è organizzato dall'associazione culturale "Hai visto mai?"

Luca Zingaretti: amo il documentario, ci informa ed emoziona
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24 Giugno 2016 - 15.37


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di Claudia Sarritzu

Ha una voce allegra Luca Zingaretti al telefono, si capisce subito che è un uomo soddisfatto e felice del suo lavoro. La tentazione di fargli qualche domanda sul film Disney Pixar “Alla ricerca di Dory” è tanta. Ancora una volta ha prestato la sua voce a Marlin il pesciolino, padre premuroso e apprensivo di Nemo e neo fidanzato di Dory, in questo sequel è lei la protagonista che intraprenderà un lungo viaggio “alla ricerca dei suoi genitori”. Non mi può dire nulla e la sua voce appare quasi dispiaciuta nel dovermi deludere. Ma potrà rompere il silenzio dopo l’uscita del film a settembre e io non mancherò di disturbarlo nuovamente.

Andiamo avanti nell’intervista e cambiamo del tutto argomento. Luca Zingaretti è ideatore e direttore del PesaroDocFest che parte il 24 giugno ed è organizzata dall’associazione culturale “Hai visto mai?”. Sono tre giorni di incontri con ospiti speciali, proiezioni, dibattiti, letture, street art che animeranno il centro della città di Pesaro. [url”Per leggere il programma cliccate qui”]http://giornaledellospettacolo.globalist.it/Detail_News_Display?ID=90882&typeb=0&al-via-il-pesarodocfest[/url]

Partiamo con una domanda banale: perché una festa per i documentari sociali e di costume in un Paese che non sembra amare il genere?
Forse perché in Italia il documentario non è apprezzato perché non è conosciuto. Faccio l’esempio di mia figlia che mi dice “non mi piace il cocomero” senza averlo mai voluto assaggiare. Come si fa a dire che agli italiani non piace questo genere se la televisione non li trasmette? Come si fa a dire con certezza che al cinema sarebbero un flop se neppure li si proietta?

Proprio in un momento storico come questo dovremmo vederne di più, è d’accordo?
Sì esatto, pensi alla miriade di notizie che riceviamo tutti i giorni tramite internet, i social. Alcuna è informazione altra disinformazione, ma anche le news corrette che apprendiamo spesso sono troppo scarne, troppo sintetiche per affrontare temi complessi come quelli che i telegiornali ci propongono a ogni ora. Ecco, un documentario come un saggio in letteratura è un’occasione per approfondire argomenti troppo complessi e dispersivi.

Come è nata in lei la passione per questo genere? Nel 2002 per conto di Amnesty ho girato un documentario nel nord dell’Uganda. In quel momento me ne sono innamorato. Filmare un luogo che da 20 anni era immerso in una terribile guerra civile e che due anni prima aveva dovuto affrontare una terribile epidemia di ebola mi ha fatto comprendere l’importanza del mezzo. Il primo giorno in cui arrivammo, il villaggio che ci ospitava venne attaccato dai ribelli. Vissi in prima persona quell’inferno e lì capii che in un mondo sempre più veloce abbiamo bisogno di qualcuno che ci racconti “bene” quanto accade, con immagini, interviste, suoni e testimonianze.

Un viaggio per procura, che fa conoscere a chi non può quello che succede in un determinato luogo, in una certa epoca?
Sì, un modo più completo per informare.
Ma non è che ha sbagliato mestiere è da grande voleva fare il giornalista? In verità sì, abbandonato il sogno calcistico mi sarebbe piaciuto fare il giornalista, perché è un mestiere stupendo che sa darti tante emozioni, ma sono contento che alla fine sia andata in un altro modo, in Italia non si può fare informazione in modo libero.

Siamo d’accordo. I giovani oggi entrano in contatto con il documentario grazie a Sky, Netflix, all’estero infatti è un genere che va parecchio. Secondo lei non dovrebbe essere anche la scuola a far conoscere di più il documentario, come in letteratura dare più spazio al saggio?
Si ma dovrebbe essere anche una mission della televisione pubblica che non può pensare solo allo share, la Rai deve tornare a programmare. Ha il compito di fare cultura, di offrire spunti di riflessione, conoscenza, educare a un genere che non è di moda oggi ma che potrebbe diventarlo domani. Perché non inserire il giovedì, per esempio anche in seconda serata, un documentario? Magari i primi appuntamenti non otterranno grandi ascolti, ma questo non deve scoraggiare, chi fa televisione pubblica che deve avere coraggio.

Luca Zingaretti fa il suo mestiere con impegno e professionalità, ma la cosa più importante è che ci crede, crede nei suoi progetti, ci mette passione.
Il PesaroDocFest, è una bella occasione per innamorarci di un genere trascurato, ben vengano queste feste che ci rendono più informati e quindi più liberi.

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