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'Lui è tornato' al cinema e nell'Occidente dei muri

Il film del tedesco David Wnendt che immagina il ritorno del Fürer nella Germania contemporanea, fa molto ridere. Ed è qui che ci frega. [Claudia Sarritzu]

'Lui è tornato' al cinema e nell'Occidente dei muri
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27 Aprile 2016 - 21.43


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di Claudia Sarritzu

E’ un film, prima di tutto un libro (dello scrittore Timur Vermes) che non possiamo prenderci il lusso di non vedere (o se preferite leggere -forse è meglio- di non leggere). Soprattutto oggi, mentre al Brennero si costruisce un muro, oggi che le estreme destre xenofobe trionfano in mezza Europa, oggi che Trump potrebbe diventare il prossimo presidente degli Stati Uniti. Oggi che l’Isis spopola nel mondo arabo e non solo. Oggi che lo straniero bussa alla porta di casa nostra e nel migliore dei casi facciamo finta di non sentire.

“Lui è tornato”, il film del tedesco David Wnendt che immagina il ritorno del Fürer nella Germania contemporanea, fa molto ridere. Ed è qui che ci frega. Hitler non è descritto come il cattivo assoluto, perché solo nelle fiabe i contorni sono netti, nella vita reale esistono le sfumature, quelle che si prendono gioco di noi, che ci fanno inciampare. Durante la prima parte del film quindi si ride e ci si affeziona ad Adolf e di questo ci si vergogna. Lo spettatore è spaesato, non comprende dove il regista vuole portarlo. Forse vuole che dubiti della convinzione assoluta che il Furer sia il diavolo. Pilastro della nostra cultura post bellica che nessuno mette e può mettere in dubbio. Ci sono pochi giudizi storici infatti forti e netti come quello su Hitler. Ed è questo che crea nello spettatore del malessere. Perché quest’uomo con i baffetti lo sentiamo così simile a noi?

Allora David Wnendt vuole salvare Hitler? No. Vuole salvare i tedeschi che hanno seguito l’uomo più folle e pericoloso della storia moderna? No.
Vuole che capiamo che è un attimo provare tenerezza, sentirsi in sintonia con un bizzarro uomo che consideriamo ridicolo. E’ un attimo che questa macchietta diventi un leader sanguinario, un capopopolo senza scrupoli. E’ un attimo che da comico diventi il nostro guru.

Ed è esattamente in quel preciso istante che inizia la tragedia, il folle diventa un uomo stimato e apprezzato e il cittadino sano di mente finisce in manicomio.

Ma non c’è sola la Banalità del Male rielaborata in chiave di commedia per il grande schermo. C’è anche il ruolo dei media. L’informazione schiava dell’audience che diventa strumento di propaganda ancora più efficace di quella che aveva a disposizione il vero Hitler. Oggi siamo più in pericolo di ieri. Internet diventa il luogo libero anche di trasmettere messaggi pericolosi a persone fragili culturalmente non in grado (nonostante il titolo di studio che nell’Europa di oggi raggiungono in tanti) di comprendere la potenza distruttiva delle informazioni che ricevono.

Il qualunquismo dei tempi moderni può generare mostri, resuscitare vecchie follie, con la scusa che tutto è lecito, che tutto può essere detto o fatto perché in democrazia. Ed ecco che il regista svela il suo messaggio: sono proprio nelle democrazie, quelle dove non si va più a votare perché tanto sono tutti uguali, che personaggi pericolosi arrivano a essere scelti alle urne (ricordiamo che Hitler non marciò su Berlino, ma la conquistò alle elezioni) e per questo si sentono autorizzati a diventare un’unica voce di un unico popolo che sta dimenticando nuovamente cosa significa pensare con la propria testa.

Stupenda e drammatica la scena in cui una sopravvissuta all’Olocausto affronta Hitler e lo caccia dalla sua casa. “E’ così che iniziò anche 70 anni fa, prima ci faceva ridere, poi ha sterminato un popolo”. Lui sta tornando dentro di noi, e fa paura…


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