“È ufficiale! Hanno preso IO STO CON LA SPOSA a Venezia! Sì!
Grazie ad ognuno dei nostri 2.541 produttori dal basso, senza i quali non ce l’avremmo mai fatta! E adesso rovesciamo l’estetica della frontiera!”
Questo l’annuncio sul sito fb di Io sto con la Sposa, il film fenomeno finanziato con il crowfunding. Ben 2.541 produttori dal basso hanno messo 100mila euro. E ora la sposa che ha spezzato i confini srà a Venezia.
“La stazione Centrale di Milano è lo snodo dei migranti sopravissuti ai viaggi della disperazione nel Mar Mediterraneo: è da lì che, pagando mille euro a persona al contrabbando, tentano di raggiungere la Svezia. Noi volevamo dare loro un alternativa”, spiega Gabriele Del Grande, fondatore di Fortress Europe, Osservatorio sulle morti nel Mediterraneo. Il film parte da una sua idea nata per scherzo, condivisa con Khaled Soliman Al Nassiry, poeta palestinese-siriano e con del regista Antonio Augugliaro.
La storia.
Un finto corteo nuziale, che parte da Milano e arriva a Stoccolma, sfidando le regole e i controlli della Fortezza Europa, per permettere a cinque ragazzi in fuga da un paese in guerra di avere un futuro migliore. Si chiama “Io sto con la sposa” il film documentario realizzato da Gabriele del Grande, giornalista e autore del blog Fortress Europe, Khaled Soliman Al Nassiry, poeta e scrittore palestinese siriano e Antonio Augugliaro, editor e regista televisivo, che racconta in presa diretta una storia fantastica, e al tempo stesso drammaticamente vera, accaduta tra il 14 e il 18 novembre 2013.
Protagonisti del film sono gli stessi autori che, dopo aver incontrato a Milano cinque palestinesi siriani sbarcati a Lampedusa, decidono di aiutarli a raggiungere la Svezia. Per evitare di essere arrestati come contrabbandieri, però, inscenano un finto matrimonio coinvolgendo un’amica palestinese (Tasnim) che si traveste da sposa, e una decina di amici italiani e siriani che fanno da invitati. Così mascherati, attraversano mezza Europa, in un viaggio di quattro giorni e tremila chilometri. Un viaggio, che oltre a raccontare le storie e i sogni dei cinque palestinesi in fuga e dei loro speciali contrabbandieri, mostra un’Europa sconosciuta. Un’Europa transnazionale, solidale e goliardica che riesce a farsi beffa delle leggi e dei controlli della Fortezza con una mascherata che ha dell’incredibile.
Manar.
“Andate via dalla mia testa! E chiudete bene quella porta! Lasciatemi cantare, ho il cuore che scoppia. Le parole arriveranno, un microfono non basterà. No, no, io non mi fermerò! Nemmeno una parola lascerò. Indietro non ci torno!”. Lo canta forte Manar nelle sue canzoni, lui che è solo un bambino ma ha già visto gli orrori della guerra. Ha dodici anni ed è palestinese siriano, del campo profughi Yarmouk di Damasco. In Sicilia è arrivato con il padre su una nave partita dall’Egitto, a settembre 2013. Dopo dodici giorni alla deriva è riuscito a varcare la frontiera europea, con il sogno in tasca di arrivare fino in Svezia, per realizzare il suo sogno di diventare un rapper famoso. Manar, o meglio Mc Manar, come vuole farsi chiamare, è il più giovane protagonista del film documentario “Io sto con la sposa”, di Gabriele del Grande, Antonio Augugliar e Khaled Soliman Al Nassiry, che racconta la storia vera del finto corteo nuziale che, nel novembre scorso, è riuscito a beffare i controlli della frontiera, per permettere a cinque siriani palestinesi di raggiungere Stoccolma.
Manar viaggia con suo padre Alaa, che a Damasco faceva il barbiere, e che un giorno ha deciso di partire, lasciando nel campo profughi di Yarmouk la moglie e gli altri due figli, per permettergli di diventare un cantante di successo, nel nord Europa. Una meta che i due, prima del viaggio raccontato dal film, avevano già provato a raggiungere affidandosi a dei trafficanti. Mille euro avevano pagato a un passeur che, insieme ad altri 50 profughi, doveva portarli in Svezia. Ma il loro sogno si è infranto, quando erano ancora in Italia, al primo controllo di polizia. Loro come molti altri migranti, che arrivano nel nostro paese, qui non volevano restare. Hanno cercato di non farsi prendere le impronte digitali, per poter continuare il loro viaggio oltreconfine. Ma anche questo tentativo è andato fallito. “Abbiamo visto delle persone che tenevano immobilizzate a terra con il sangue che gli usciva dalle mani. Li bastonavano dicendo: Non vuoi dare le tue impronte?” racconta Alaa in una delle scene più toccanti del film.
“Alaa e Manar li abbiamo incontrati in un centro di accoglienza a Milano – spiega Del Grande – ci hanno raccontato del loro primo tentativo di arrivare in Svezia. Erano rimasti con solo cinquanta euro in tasca”. Oggi sul sito del film gli autori pubblicano, in anteprima, il primo estratto del documentario, in cui Manar canta una delle canzoni che scrive sulla Palestina. “Eravamo appena arrivati a Marsiglia, dopo il primo giorno di viaggio – aggiunge Del Grande – eravamo euforici per aver passato il confine di Ventimiglia. Così gli amici che ci ospitavano in Francia hanno organizzato una cena in un locale gestito proprio da un palestinese, La mer veilleuse (il mare che veglia). A fine serata Manar ha iniziato a cantare. E’ questo il primo estratto che abbiamo scelto per presentare il film, per la forza delle sue parole”. “Io sto con la sposa” è un film completamente autoprodotto, gli autori hanno lanciato lunedì scorso un crowdfunding per sostenere il progetto. E in due giorni hanno già raccolto 13.800 euro grazie a 455 donatori. I soldi raccolti finora serviranno a coprire le spese di viaggio, il noleggio di 3 telecamere Canon, ottiche e radiomicrofoni.
I materiali utilizzati per questo pezzo sono tratti da Globalist, da Vita e da Redattore sociale.