di Giovanna Casagrande
Cravalu commo, inchiodalo adesso, incita un uomo mentre Su Re giace per terra. Mi rendo conto che la colonna sonora del film sono i suoni della Sardegna, il suo vento, lo stormire delle foglie spostate dalla corsa che accompagna la fuga di Giuda dopo il suo bacio, i passi sulle pietre, sulla terra arida e scoscesa, con cieli cupi che incutono presagi negativi, non compare la musica nel film di Giovanni Columbu, è la grande assente e mai come oggi mi rendo conto di quanto essa sia inutile.
La faccia di Su Re così anomala, diversa, questo volto con grandi occhi, segnata dalla sofferenza,ma senza esasperazione scenica del dolore, Su Re non parla quasi mai e le parole appaiono superflue in quell’ultima cena in cui gli apostoli si interrogano su chi fra loro tradirà su mastru.
Le persone si accalcano silenziose, decine di volti di pietra segnati da rughe e difetti , volti scuri che parlano da soli, le espressioni della vecchia che prima sorride sentendo le urla dei carnefici e confonde la violenza con il gioco- Est unu jocu– e poi il suo viso che, quando la vittima appare ai suoi occhi, è maschera di dolore e sgomento.
Durante il processo il volto di un testimone racconta più delle parole la perplessità sul destino dei ricchi e dei sacerdoti sconfitti e del tempio distrutto e da ricostruire in tre giorni, ciò che non è tangibile non può essere capito e allora Su Re è pericoloso perché non offre niente altro che una idea diversa del mondo.
Non ci sono artifici nel film, la camera a mano si muove nei luoghi ora meravigliosi ora aridi si sofferma sui volti dove la bellezza artificiale non esiste, esistono i sentimenti che traspaiono in tutta la loro umanità, esiste il disprezzo per chi è diverso, per chi non riesce a dimostrare la potenza e muore sulla croce, esiste l’ultimo slancio disperato di un Pietro che dopo, solo dopo grida -Est un amicu meu-
Perché Giovanni Columbu ha deciso di ambientare queste ultime ore della vita del Re dei Giudei in Sardegna? Perché ha scelto il panorama del Supramonte di Oliena, i suoi salti e le sue erte a picco sulla terra come il luogo del Dio che castiga e degli uomini che non si ribellano alle ingiustizie?
Sembra il luogo ideale, simbolico, per descrivere il martirio dell’Uomo, dove la bellezza dei luoghi confligge con la violenza dei soldati, il distacco di Ponzio Pilato, il dolore muto di Maria, il volto devastato del Re e dei ladri crocifissi con lui.
Su Re è un film bellissimo perché non ostenta, ma entra, con la sobrietà delle immagini, nella babele dei sentimenti e delle sfumature di una lingua antica, mostra uomini e donne giovani e anziani vittime di profonda tristezza, sottomessi a decisioni altrui, incapaci di moti di ribellione, corpi vicini che non si toccano, quasi prigionieri di antiche pietre che custodiscono l’assassinio dell’ uomo che divideva il pane e il vino dicendo ai suoi discepoli che dopo la sua morte essi l’avrebbero ”istimau comente deo bos istimo”.
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