Nel 1949 Renata Viganò pubblicò il romanzo L’Agnese va a morire dal quale Giuliano Montaldo avrebbe tratto un film nel 1976: racconta il passaggio di una lavandaia diventata partigiana dopo che il marito, un comunista, viene ucciso e dopo aver ferito un nazista che le ha ucciso la gatta rimastale come unica compagnia. Come riferisce la voce di Wikipedia, nelle stime dell’Anpi le partigiane combattenti furono ben 35mila, 20mila le donne di supporto, 70mila quelle dei Gruppi di difesa. Sulle donne della Resistenza Sky Arte sabato 25 aprile alle 21.15 trasmette il documentario Partigiane 2.0. La libertà ha sempre vent’anni. Il doc va anche in diretta streaming, sempre sabato 25 alle 15 e alle 21 a questo link (clicca qui).
Il film è stato preparato da una squadra al femminile: alla regia Malina De Carlo, su soggetto di Didi Gnocchi e Valeria Parisi, sceneggiatura di Claudia Riconda, musiche originali di Pat’za e montaggio Laura Liberanome, ha interviste alla regista Liliana Cavani, alle partigiane Laura Wronowski, Ebe Bavestrelli e Dina Croce, alle restauratrici Ilaria Laise e Cecilia Gnocchi, alla storica Iara Meloni.
Prodotto da Associazione Chiamale Storie e Sky Arte, nel progetto memoMI, realizzato da 3D Produzioni, con il contributo del Comune di Milano e della Fondazione Pasquinelli, il documentario, scrive l’ufficio stampa, “si avvale di molte testimonianze e documenti storici preziosi, tra cui le immagini di La donna nella Resistenza, il documentario girato nel 1965, a vent’anni dalla Liberazione, da Liliana Cavani che fu la prima ad alzare il velo di reticenza e di ipocrisia calato sulle donne partigiane, ridotte nell’immaginario collettivo a crocerossine, semplici assistenti, anziché vere combattenti”.
Le tre partigiane, Laura Wronowski, Ebe Bavestrelli, Dina Croce, sono “tre nomi storici della Resistenza italiana che ripercorrono la loro esperienza” mentre Ilaria Laise e Cecilia Gnocchi parlano sul campo “nelle strade e nelle piazze milanesi mentre restaurano le lapidi dei partigiani, tra scale, solventi e tinture”. A quelle storie si intrecciano le vicende “di Tina Anselmi, staffetta partigiana, e di Oriana Fallaci, biciclettista quattordicenne nella Firenze del ‘43, a quella di Genni Wiegmann Mucchi, artista berlinese e attivista nella Milano resistente” e che le autrici collegano “fino ai murales colorati delle periferie di oggi, dove la ribellione dei writers tiene acceso lo spirito di quelle battaglie che sono transgenerazionali”.
Come avvisa l’emittente, il documentario si conclude con le parole di Dina Croce: «Si lo rifarei cento volte, e lo rifarei ancora. Lo rifarei perché è stato il periodo più entusiasmante della mia vita … Ma lo fai con una tale passione che niente può farti cambiare, ed è una cosa fantastica»