Renzo Arbore, il genio di quell'antidoto liberatorio che si chiama cazzeggio | Giornale dello Spettacolo
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Renzo Arbore, il genio di quell'antidoto liberatorio che si chiama cazzeggio

Un uomo di ottanta anni per tre ore in televisione che affascina una platea di giovani che pendono dalle sue labbra e dalle battute di nonsense dell'arguto Nino Frassica

Renzo Arbore, il genio di quell'antidoto liberatorio che si chiama cazzeggio
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Giancarlo Governi Modifica articolo

14 Dicembre 2017 - 10.45


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Tutto è finito con una grande invidia per un uomo di ottanta anni che riesce a stare per più di tre ore, senza intervallo, davanti alla televisione, a parlare e cantare, affascinando una platea di giovani che pendono dalle sue labbra e dalle battute di nonsense del geniale Nino Frassica, trascinandola nel ricordo di un programma di trenta anni fa che conserva tutta la sua freschezza e che potrebbe essere riproposto integralmente. Lo avete capito: questo signore si chiama Renzo Arbore, che oggi è diventato il simbolo della buona televisione, quella di una volta, quella che andava a dormire “dopo il tiggì” e non si faceva travolgere da politici sfaccendati e senza audience, coordinati da giornalisti-conduttori che ancora credono di avere un pubblico a cui rivolgersi e non si sono ancora accorti che invece quel pubblico non c’è più, travolto da un gigantesco sbadiglio. Quella televisione che ancora ti invitava a ridere e a cazzeggiare e si faceva travolgere dalla calviniana (nel senso di Italo Calvino) virtù della leggerezza. “Quantum mutata ab illa” viene da dire quando la si confronta con la triste e anonima televisione di oggi, così parcellizzata e frantumata che non riesce più a creare eventi, come facevano Arbore e altri in un passato neppure tanto lontano, quando c’era una forte sintonia fra coloro che facevano la televisione (autori e dirigenti-produttori) e chi ne fruiva, che poi erano gli italiani, i quali ne facevano motivo di conversazione e quindi di unione e di formazione di quello che viene chiamato il “comune sentire”.
Arbore è il più grande “dilettante“ della storia dello spettacolo italiano. Non lo spiego per Renzo che mi ha capito benissimo ma per gli altri perché non cadano in equivoco: dilettante nella accezione più pura del termine, dilettante perché si diletta facendo il suo lavoro e dilettando milioni di spettatori. Arbore giustamente per quello che fa è pagato, anche bene, ma io ho il sospetto che lo farebbe anche gratis. Insomma, alla romana, potremmo dire che Arbore è un dilettante perché “se la diverte”.
Insomma, per i più anziani uno struggente ricordo dell’Italia, e della televisione che fu, e per i più giovani una indicazione di quello che la televisione potrebbe essere e che, temiamo, non sarà più.
Grazie Renzo da tutti quelli che andavano a letto, da soli o accompagnati, “tosto dopo il tiggì”, dopo un paio d’ore di “cazzeggio” orchestrato da te e dalla tua banda di sconsiderati.
Abbiamo il sospetto che questa Italia sbrindellata e qualunquista senza punti di riferimento potrebbe trovare un forte antidoto proprio nel cazzeggio liberatorio di cui Renzo è stato insuperabile maestro.

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