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Striscia la vergogna, l'angoscia dei migranti con risate di sottofondo

Riflessioni a freddo sull'orribile comic show del salto dell'inferriata trasmesso dal tg satirico in prima serata. Con risate di sottofondo. [Maddalena Papacchioli]

Striscia la vergogna, l'angoscia dei migranti con risate di sottofondo
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7 Aprile 2016 - 14.42


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di Maddalena Papacchioli

Qualche sera fa mi è capitato di inciampare in una puntata di un noto tg satirico che da vent’anni va in onda in prima serata sulla più importante tv generalista privata. Un programma che vanta da sempre un grande successo di pubblico e di critica, anche se spesso si ritrova al centro di polemiche mediatiche per: servizi inesatti, inviati malmenati, querele per diffamazione, etc.

(O forse è proprio per questo che vanta da sempre un grande successo di pubblico e di critica?)

Un programma che informa e che fa ridere. Dicono.

Ogni tanto, perciò, faccio lo sforzo di puntare 5 sul telecomando e provare a guardare. Quasi mai, da questo impuro atto di masochismo autoindotto, traggo il conforto benché minimo di uscirne almeno un po’ informata e/o divertita. Eppure, ogni volta, ci ricasco: un po’ per dimenticanza della precedente delusione, un po’ perché quando capita che qualcuno mi chiede: “Hai visto, sì, che hanno detto a Striscia la notizia?”, io posso rispondere ammiccando: “…se…se..”, senza abbassare lo sguardo mentitore.

E così, quache sera fa, mentre provavo a guardare, ho visto ciò di cui vi racconto di seguito. Perché ho bisogno di liberarmene in qualche modo. Esorcizzare.

Dallo studio del suddetto tg satirico viene lanciato un servizio. La corrispondente si trova davanti al Cara di Bari, per raccontare ai telespettatori la manche odierna del cosiddetto “World Climb-over Championship Bari 2016”, ovvero il Campionato Mondiale del Salto dell’Inferriata. Gli “atleti”-protagonisti involontari di questo sport sono migranti ospiti del centro di accoglienza che scavalcano a fatica le recinzioni per entrare ed uscire. Il primo concorrente in gara è un marocchino che appare fuori forma e arranca con difficoltà. Il secondo è un giovane malese, un po’ lento per via del borsone che si trascina dietro. Fuori dal perimetro, la troupe di Striscia riprende le performances, che vengono giudicate da tre attori-giudici di gara: un italiano, un tedesco e un francese (come nelle barzellette), che votano alzando le palette (come nei talent show).

L’allegra telecronista conclude con una breve intervista all’attore-presidente della giuria, commentando che sarà difficile trovare un vincitore, visto che i concorrenti sono tanti e tutti bravi.

Saluti e grandi risate.

Link al servizio: [url”qui”]http://www.striscialanotizia.mediaset.it/video/campionato-salto-dell-inferriata-3_25255.shtml[/url].

Ora. C’è chi se ne fa una ragione della superficialità inopportuna con cui certa tv tratta il tema dei migranti. C’è chi passa sopra l’inesattezza dei dati, la carenza di approfondimenti e l’incompletezza dei punti di vista. C’ è chi sa come rimediare al vuoto o alla scarsità di un’analisi corretta e di una fotografia realistica del dramma dei rifugiati. E sceglie accuratamente il proprio palinsesto o attinge ad altre fonti di informazione perché ha più tempo, più disponibilità economiche e più strumenti culturali. Si forma, così, una propria conoscenza dei fatti e coscienza sui fatti.

E poi c’è chi (la maggioranza, ahimè) lascia che la cronaca quotidiana di questi tempi bui le venga narrata dal flusso televisivo. Che fa un tutt’uno tra fiction, news, spot pubblicitari e intrattenimento.

C’è chi si lascia cullare distratto dalla fiaba cantilenata del tubo catodico: unica finestra sul mondo per molti cittadini domestici, incastonati tra divano e fornelli.

Ecco, per questa seconda categoria, non c’è speranza. Almeno finchè c’è Striscia. E finchè si lascia che un programma del genere racconti in prima serata a milioni di telespettatori una tragedia umana di portata immane con la stessa disinvoltura frivola che usa per smascherare piccoli maghi truffatori o per prendere in giro vip, politici e calciatori sulle loro gaffes. Con le stesse risate registrate in sottofondo che ricordano un altro storico programma comico dei primi anni ’80, firmato dallo stesso autore, nel quale, per ridere, bisognava attendere il segnale acustico. Perché in effetti, anche lì, la risata non sorgeva spontanea.

Questa mia invettiva non vuol essere un richiamo al politically correct per la satira che ha superato i limiti (che poi sarebbe nella sua natura, di superarli). Soprattutto perché qui non si tratta di satira, non ce ne sono i presupposti tecnici. Non si tratta neppure di informazione, perché anche in questo caso, vengono meno gli elementi costitutivi.

E perciò, come classificare questo tipo di spettacolo? Scomodare l’aggettivo “comico” dimenticando o ignorando la nobile origine e declinazione del genere nella commedia teatrale o letteraria o cinematografica o anche televisiva ma di tempi e contesti più adeguati?

Forse non è il caso. Occorre lasciar stare ed evitare ogni qualsiasi sfida analitica che ci sembra un’impresa titanica che poi, fondamentalmente, non ne vale la pena, considerato l’oggetto di indagine.

Mi limito, perciò, molto comodamente a riferire la mia reazione immediata, magari per alcuni anche superficiale. E dirò semplicemente che quel servizio è davvero stupido, inopportuno e pericoloso. Pericoloso perché nel suo non trasmettere nessun messaggio chiaro (né di condanna né di approvazione), nel suo non alludere nemmeno a una possibile soluzione del problema mostrato, nel suo estremo semplificare la questione per ricavarne l’aspetto folkloristico, opera un gioco perverso quanto vergognoso. Quello, cioè, di lasciare strisciare, non la notizia, ma l’indifferenza agli eventi. Quello di comunicare gioiosamente una leggerezza (ma non nel senso calviniano del termine) che si vorrebbe rendere come premio consolatorio al telespettatore, troppo angosciato dalla tragedia umana dei migranti che ci arrivano in casa e deturpano il palinsesto televisivo con le loro barche affollate, i loro naufragi, la loro fame, i loro diritti negati, etc. E allora, ridiamoci sopra, no? Che rattristarsi o indignarsi nuoce alla salute e inibisce il consumo e il consenso. “Che il nostro piangere fa male al re”. E agli ascolti.

Striscia la vergogna, poi, per me, che ancora una volta ho provato a guardare tutto questo. E mi è toccato scriverne. Per esorcizzare.

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