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Valentina Bellè: la Lucrezia De’Medici nella fiction prodotta da Lux Vide

Dalle web series al cinema, la giovane attrice veneta, ora in onda su Rai1 con Grand Hotel, sarà Lucrezia De’ Medici nella Fiction scritta da Frank Spotniz (X-Files).

Valentina Bellè: la Lucrezia De’Medici nella fiction prodotta da Lux Vide
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9 Settembre 2015 - 10.58


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di Nicole Jallin

È uno dei nuovi volti della televisione italiana, Valentina Bellè, classe 1992, veronese di nascita, romana di adozione, lineamenti delicati, espressività elegantemente incisiva, finezza aristocratica, che dopo spot, videoclip, una web serie (“Under”, premiata come miglior attrice al Roma Web Festival nel 2014), e cinema, ottiene il ruolo da protagonista di “Grand Hotel”. Nella fiction in costume ambientata nei primi del Novecento diretta da Luca Ribuoli, è Adele Alibrandi, figlia dei ricchi proprietari del lussuoso albergo ai piedi delle Dolomiti, polo attrattivo di intrighi, indagini e relazioni affettuose tra ospiti e personale di servizio.

«Tanto studio, studio costante», precisa l’attrice veneta che dopo un periodo formativo diviso tra il Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma e la prestigiosa “Lee Strasberg Theatre and Film Institute” di New York, si afferma su piccolo e grande schermo con presenze che, tra le altre, vanno da “Squadra Narcotici 2”, a firma di Michele Soavi, alla “Vita Oscena” di Renato De Maria (in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia lo scorso anno per la sezione “Orizzonti”) fino al “Maraviglioso Boccaccio” dei Fratelli Taviani.

Un incontro, quello con la recitazione, che avviene in età infantile, quasi per caso, quasi fosse un impulso innato, che poi si è trasformato presto in una vocazione, forte, irresistibile…

«A casa mi dilettavo in “spettacolini” per famigliari e amici. O almeno così mi racconta mia madre, perché io ero troppo piccola, non lo ricordo (ride, ndr). Ricordo però che a 13 anni ad un corso di recitazione fatto alle scuole medie avevo capito che quello era ciò che volevo fare da grande. Ho sempre coltivato passione per l’arte, amo la fotografia, la pittura e il disegno, ma, subito dopo il liceo, avevo deciso che fare l’attrice sarebbe stata la mia strada. Poi è arrivata la scuola di Strasberg: un’emozione e un’esperienza indescrivibili. Di vita, innanzitutto: dalla piccola Verona a New York è un bel cambiamento! Lì ho imparato a guardare in faccia le difficoltà vere del mondo del cinema, abbattendo spietatamente preventive illusioni e falsi miraggi; ho imparato, e questo mi sento di consigliarlo ad aspiranti attori o attrici, a studiare, studiare tanto e lavorare senza sosta su se stessi, con tanta umiltà, ma ben controbilanciata dall’autostima. È fondamentale essere umili per affrontare i continui paragoni, la competitività costantemente alimentata, e i giudizi che spesso feriscono, come lame. Ma ne vale la pena, perché anche se la “magia del recitare” non si mantiene sempre – è inevitabile -, soprattutto quando si tratta di concentrarsi su molte scene per tanti mesi di seguito, quando questa “magia” accade, ti astrai da te stesso per immergerti totalmente nel personaggio. In quel momento sei qualcun altro calato in un contesto, in un tempo e in uno spazio che esistono solo in quegli istanti. È una sensazione unica, quando sono sul set mi dimentico di tutto, lascio fuori da me tutto il resto».

Sembra quasi di percepire un effetto “terapeutico” provenire dalla recitazione…

«Sicuramente nel momento in cui ti doni al personaggio, in cui ti concedi alla recitazione, ma quando questo s’interrompe, quando svesti il corpo del personaggio per riprendere il tuo di attore o attrice, hai immediatamente a che fare con gli altri aspetti di un mestiere davvero complesso. Un mestiere che ti mette sempre di fronte alle critiche di tutti, oltre che di te stesso, talvolta dure, aspre, e devi trovare necessariamente una forza dentro per affrontare tutto».

Una dedizione che include opportunità e soddisfazione, ma tanto impegno e fatica. Cosa significa essere un interprete emergente e quali sacrifici comporta affacciarsi al mondo dello spettacolo?

«Io non li ho mai vissuti come sacrifici veri e propri, ma questo credo sia una cosa normale quando si insegue un sogno, una passione. Se poi si tratta di avere la possibilità di tradurlo in una professione, in quello che si vuole fare, allora non riesco proprio a riconoscerlo come sacrificio. Mi sento molto fortunata di poter considerare questa professione non come un lavoro, inteso come “obbligo privo di interesse da svolgere volente o nolente”, ma, per quanto possa essere pesante, come una parte della mia vita alla quale non voglio rinunciare».

Intanto il pubblico italiano la riconosce nei panni di una giovane benestante in “Grand Hotel”, fiction in costume. Cosa l’ha spinta ad intraprendere questa avventura televisiva?

«All’epoca delle riprese studiavo io non volevo abbandonare gli studi che mi impegnavano a tempo pieno. Mi dedicavo a qualche ruolo minore che potevo affrontare senza che ne risentisse troppo la scuola. Il ruolo di Adele, protagonista femminile della serie, richiedeva un impegno maggiore, un impegno che mi avrebbe obbligato a interrompere il mio percorso formativo. Ho deciso allora di presentarmi solo ai provini, ma, serenamente, senza considerare possibili sviluppi. Solo che a un provino ne sono seguiti altri, fino alla conferma della parte. Dopo qualche consiglio e confronto ho deciso di non rinunciare a un ruolo così importante, e mi ci sono buttata a capofitto in un progetto difficile come una fiction in costume, che richiede un grande lavoro preparativo, dalla conoscenza del periodo, al portamento, al modo di essere, di vivere, di parlare… È stata una sfida memorabile che ha coinvolto e messo a confronto un gruppo di attori giovanissimi e quasi tutti esordienti o alle primissime esperienze. E spero che questo senso di esperienza comune e condivisa possa arrivare anche al pubblico».

Come guarda al futuro?

«Per adesso mi sto allenando a guardare il presente, ad impegnarmi a fare sempre meglio, a studiare, a conoscere e approfondire i miei punti deboli, e lavorare per migliorare il più possibile. Non voglio azzardare vedermi nel futuro. Non ancora. Perché devo scoprirmi, piano piano, sperando di sorprendermi sempre, poco per volta. Intanto posso annunciare che è in preparazione un progetto internazionale in lingua inglese sulla famiglia Medici, e io interpreterò Lucrezia de’ Medici. Non posso dire molto ma saranno coinvolti nomi davvero interessanti. Inoltre, parlando di future speranze o ambizioni, non nascondo affatto che mi piacerebbe poter calcare il palcoscenico teatrale: per me il teatro è linfa vitale. Si tratta di entrare a contatto con una tipologia di recitazione completamente diversa, in tutto. È una strada che mi attrae intimamente e che voglio abbracciare e analizzare a fondo, prima ancora che intraprendere. Sì, è un pensiero che c’è in me, forte».

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