Martha Capello, 36 anni il 6 marzo – “Se lo vuoi scrivere non ho problemi” – è a capo della società che porta il suo nome: Martha Production. “Sì, con la h”. Ha all’attivo film, documentari, cortometraggi. È anche la presidente della Agpci, associazione dei giovani produttori indipendenti nata nel 2007:” Oggi siamo un’associazione di categoria, con oltre 100 società. Pensare che all’inizio non c’era nulla…”. Ne parliamo in occasione del V Meeting Internazionale del Cinema Indipendente di Matera – dal 9 al 13 marzo- organizzato proprio dall’Agpci.
A settembre scade il suo incarico, a nove anni dalla nascita dell’associazione quel è il bilancio?La più grande soddisfazione è aver creato qualcosa che prima non c’era e che ha raggruppato un grande numero di persone. All’inizio l’energia partiva da me. L’associazione ormai si muove da sola. Ed il momento di passare il testimone.
Che “eredità” lascia: quali gli obiettivi raggiunti? Quali quelli futuri?Mi piace parlare di obiettivi presenti, quelli da perseguire oggi. Sicuramente il più grande è di rafforzare il livello delle giovani società di produzione: soffrono da una parte la frammentazione, dall’altra la mancanza
di strutturazione. Il traguardo è dare a società di tipo artigianale una visione d’impresa.
Lo facciamo con il Meeting Internazionale del Cinema Indipendente di Matera, ad esempio. O con le tante masterclass, in cui diamo ai produttori un’idea di come essere imprenditori. A Matera poi ci sono investitori esteri a anche le associazioni di produttori straniere. Con i presidenti di queste ci impegniamo a capire cosa possiamo fare perché aumentino le coproduzioni.
Quali sono le novità in programma rispetto agli altri anni?È un meeting rivoluzionato e innovativo. Abbiamo unito la nostra esperienza a quella della Fice (Federazione Italiana Cinema d’Essai). In programma ci sono anteprime, ma anche formazione, workshop, focus. Quindi pitching, one to one,. E anche momenti di ritrovo e aggregazione. I produttori tra loro non si conoscono. In questo modo si scambiano informazioni e nascono sinergie.
Quest’anno la presenza della Fice è una tra le novità più importanti…In realtà già da tempo abbiamo iniziato a collaborare. Non si può continuare a produrre senza sapere cosa vuole il mercato. Per questo abbiamo dato vita ai primi pitch pubblici: si racconta cosa è in produzione e gli esercenti esprimono un giudizio. Quando mai un produttore ha chiesto a qualcun altro – eccetto se stesso- cosa produrre?
Qual è lo stato dell’arte del cinema indipendente?Il cinema indipendente sta affrontando un grande cambiamento. Il tax credit ha dato dell’ossigeno a tutti. Tutti coloro che sanno coinvolgere investitori esterni possono fare un film. Ma devono essere preparati. Non è un problema solo dei giovani, poi. Ma anche dei produttori più navigati che hanno sempre attinto da Rai e Mibact e adesso devono affrontare un cambio di mentalità.
Netflix, on demand, web, pay tv è sempre più difficile intercettare i gusti di un pubblico che può restare seduto in casa.Nessuno ha la verità in tasca su questo argomento e gli effetti si vedranno solo tra qualche anno. Si può fare una riflessione: prima alcuni prodotti di nicchia al pubblico neanche arrivavano. Se non si coprivano almeno 10 target di gusti differenti non raggiungevi la sala. Come ad esempio i documentari. Prima c’era un vero imbuto. Adesso si ha la possibilità di disintermediare questo passaggio.
Come sfruttarla?Le piattaforme non sono ancora organizzate. Netflix è in Italia da poco. Hanno un approccio differente con i produttori rispetto a chi deve investire per far uscire un film in sala. A loro non costa nulla un titolo in più o in meno. Il fatto che il produttore si può recare da un aggregatore e fornire una library che poi viene diffusa in rete per vie legali è un passo. Poi sta al produttore con i propri mezzi indurre gli utenti ad andare a visionare il prodotto.
Al contrario, invece cosa insegna il film di Zalone: come convincere il pubblico ad andare nelle sale?In questo la penso come tanti esercenti. Ovvero: non facendo dei prodotti fotocopia. Se siamo in grado di fare un film di qualità la gente viene a vederlo in sala. E prende l’abitudine. Ad esempio, dopo il boom di Checco Zalone, è rimasta una coda lunga di numeri di spettatori. E ne hanno beneficiato tanti altri film. Film che in altri periodi dell’anno non so se avrebbero avuto la stessa attenzione.
È un invito e anche una responsabilità.Quando si ha qualcosa di valido e innovativo in tutte le sue forme, il pubblico lo segue. Se hai una buona sceneggiatura, soprattutto. Il pubblico parla, risponde. Esiste il passaparola che ha un grande megafono nei social. Bisogna fare autocritica. Ci sono film che funzionano e che non funzionano. Il pubblico invece è sempre quello.
* Questo articolo è stato pubblicato sul [url”Giornale dello spettacolo”]http://giornaledellospettacolo.globalist.it/Detail_News_Display?ID=88984&typeb=0&speciale-matera-sfoglia-il-giornale-dello-spettacolo[/url] anno 72, n.1 del 2016