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Il tenore Macchioni: segnali positivi per la lirica in streaming, ma l'obiettivo resta cantare dal vivo

Il tenore Matteo Macchioni, che ha calcato i palcoscenici di teatri d’opera Italiani e non, si racconta in questa intervista nella speranza di poter tornare a esibirsi dal vivo

Il tenore Macchioni: segnali positivi per la lirica in streaming, ma l'obiettivo resta cantare dal vivo
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28 Gennaio 2021 - 10.25


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di Alessia de Antoniis

 
Maestro, da ragazzo ha partecipato alla trasmissione Amici. Quanto pesa, in un ambiente chiuso come quello della lirica, aver iniziato con una simile trasmissione?
Quando ho partecipato – risponde il tenore Matteo Macchioni – non ero un cantante, ma un giovane pianista con la passione per il canto. Non solo lirico. La carriera operistica è iniziata quattro anni dopo, nel 2014. Quell’esperienza è stata per me un gioco, ma anche un laboratorio. Stare davanti alla telecamera, interpretare diversi generi musicali, è stato formativo. L’ho sempre considerato un arricchimento.
Esibirti in televisione, sapendo che ti guardano otto o dieci milioni di persone, ti dà una grande forza, ti fa crescere. È un bagaglio che poi mi sono portato nelle esperienze in teatro: la gestione della tensione, la capacità di affrontare il pubblico. La trasmissione veniva girata nello studio 5 di Cinecittà, davanti a un pubblico in presenza di più di 1500 persone. La considero un’esperienza positiva. Non l’ho mai percepita come una zavorra. Poi, se c’è qualcuno con la puzza sotto al naso, sono problemi suoi.
Quando Pavarotti girò il mondo con “Pavarotti&Friends” con i grandi della musica pop, fu aspramente criticato. Si disse addirittura che rovinava la sua voce. È ora che la lirica lotti contro una società dell’immagine e si ricordi le origini popolari del melodramma?
Lo dico sempre. Pop non è qualcosa di negativo. Più ci sono giovani che vengono in teatro e formano l’orecchio, più ci sono neofiti che approcciano allo studio della musica, più il teatro avrà vita lunga. L’opera lirica nasce come genere popolare e deve rimanere tale. Non è per un’élite.
Su Pavarotti non posso parlare: è un mostro sacro. Tra gli anni Sessanta e Ottanta è stato un mito internazionale nel mondo operistico. Quando negli anni Novanta ha dato vita a “Pavarotti&Friends”, aveva già scritto la storia. Non ritengo che la contaminazione tra i generi sia una cosa negativa. Io ho fatto questa esperienza quando ancora non ero un cantante lirico.
Pavarotti lasciamolo sul piedistallo. Per citare la Tosca “Scherza coi fanti, ma lascia stare i santi”.
Il suo è un percorso curioso: ha scoperto le sue doti vocali in corso d’opera e non da bambino.
Ho cominciato a studiare musica fin da piccolo, arrivando a conseguire poi la laurea di secondo livello in discipline musicali in pianoforte. Al conservatorio, chi suona accompagna i cantanti lirici durante le lezioni. Così ho iniziato a fare qualche lezione di canto. È davvero una passione nata in corso d’opera.
Lei è un tenore di grazia, di timbro chiaro. Quali sono i ruoli dove ha dato il meglio di sé? Dove si sente più a suo agio?
Non c’è mai limite al meglio. Finora ho sperimentato molto Rossini, Mozart e, in parte, Donizetti. Mi sono esibito nel Barbiere di Siviglia e nella Cenerentola in due continenti diversi. Ruoli di bel canto, ma la mia voce è in evoluzione.  Sto studiando per ruoli da tenore lirico leggero, non solo da tenore di grazia. Anche lo stesso Barbiere di Siviglia, se si canta tutto il ruolo del conte di Almaviva, come è capitato a me, necessita di una capacità vocale importante, anche a livello di resa, di energia.
Chi ha contribuito alla sua formazione?
Ho trovato grande crescita con tutti i direttori con i quali ho collaborato. Ho appreso molto, nell’interpretazione dei ruoli, dai registi. Mi ha dato molto il compianto Alberto Zedda come direttore dell’Accademia Rossiniana che frequentai nel 2014.
Da chi vorrebbe essere diretto?
Soprattutto parlerei di teatri dove vorrei esibirmi. Ho fatto apparizioni alla Scala di Milano, ma vorrei esibirmi anche in altri teatri importanti, come la Royal Opera House di Londra, il Met (Metropolitan Opera House – nda). Vorrei esplorare l’Australia e l’ Estremo Oriente.
Un sogno nel cassetto è sicuramente essere diretto da Riccardo Muti. Per me è un mito.
E in quale ruolo vorrebbe sfidarsi?
Un paio di ruoli che mi piacerebbe debuttare sono il Fenton dal Falstaff di Giuseppe Verdi e Rinuccio dallo Schicchi di Puccini. Proprio perché la voce evolve. Di quei due autori ho fatto poco perché la mia voce da lirico leggero si presta a un altro tipo di repertorio. Ora quei due ruoli possono essere nella mia voce.  
“Scala di Milano: la Prima convince anche in tv con 2,6 milioni di telespettatori”. Raccontata così sembra che il Covid faccia bene ai grandi teatri lirici. È così? Lo streaming è un bene per la lirica?
Gli ascolti televisivi hanno poco a che vedere con la realtà. È bello sentire che questi concerti hanno un buon riscontro di pubblico a livello mediatico e televisivo. È importante. Dal punto di vista della libera professione è stato un anno disastroso. Ho avuto contratti internazionali cancellati. Ora sarei dovuto essere alla Royal Opera di Copenaghen a fare “Così fan tutte” e replicare fino a fine marzo. È bello che gli spettacoli in tv abbiano successo, ma è importante che tornino anche gli spettacoli dal vivo. Va bene lo streaming, ma si spera che tutti questi spettatori vengano anche in teatro. Un’opera in televisione è un evento unico, mentre ci sono tantissimi artisti senza lavoro. Ci sono artisti che non riescono neanche a pagarsi un pianista per continuare ad allenarsi: il nostro è un mestiere da atleti. Stiamo soffrendo.
Progetti?
Recuperare i lavori cancellati. Rifarò “Così fan tutte”, annullato a Copenhaghen. Era in programma anche il “Barbiere di Siviglia” nel Regno Unito, ma è tutto rinviato dalla seconda parte del 2021 in poi.
A metà dello scorso anno è emersa l’inchiesta della guardia di finanza di Torino che scoperchia un sistema di connivenze tra alcuni grandi agenti e direttori dei teatri lirici. Anche nel mondo della lirica la bravura non basta?
Io sono un idealista. Continuo a credere che il talento e il merito siano sempre premiati. Ho lottato con le mie sole forze per avere ingaggi e ho sostenuto personalmente i costi per andare a fare le audizioni. Sono sempre stato selezionato per le mie capacità. Il mio primo provino fu a Lipsia e ho fatto tutto da solo. Nessuno mi ha mai imposto. Ho sempre lavorato così, basandomi sul mio impegno e le mie fatiche, in maniera onesta.
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