di Chiara Zanini
Nel mondo del teatro non si parla d’altro: l’attore Lino Guanciale ha molte possibilità di diventare direttore di Emilia Romagna Teatro, senza che sia previsto ad oggi un bando pubblico. Non per il caso in sé, che probabilmente ha a che fare con la speranza di molti di vedere un’altra persona al posto di Guanciale, ma perché la pratica di assumere una direzione senza aver partecipato ad una selezione trasparente non va più giù a chi nel teatro ci lavora, oltre che a molti spettatori che del teatro sono innamorati. Qualcuno obietta che è tutto regolare, nessun caso Guanciale, perché nel caso di Ert come di altri lo statuto non lo impone. Tristemente vero. In tempi recenti altri attori noti al grande pubblico sono diventati direttori come Stefano Accorsi (Teatro della Fondazione Teatro della Toscana a Firenze) o Giorgio Pasotti (Teatro Stabile d’Abruzzo, prima guidato da Simone Cristicchi). E Alessandro Preziosi potrebbe diventare direttore del Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia. Questo perché, al di là del curriculum di ognuno, spesso si ritiene che solo volti noti possano avvicinare le persone ad un’arte che in passato ha goduto di maggiore considerazione. Ma la pratica delle elezioni senza valutazione di candidature è un danno per i professionisti e le professioniste del settore: il teatro richiede dedizione, tempo, contatto con il territorio che alcuni non possono garantire.
Ai volti noti non viene mai chiesto di mettere da parte il proprio lavoro principale, che magari li impegna in altre città anche con film e serie tv, per concentrarsi sulla direzione di un teatro. Allo stesso tempo ci sono persone che lavorano dietro le quinte e conoscono bene i luoghi della cultura, ma rimangono costantemente nell’ombra, relegate in posizioni meno prestigiose. Anche per questo oggi il collettivo di attrici Amleta, nato per contrastare il divario e le discriminazioni di genere nel mondo dello spettacolo, ha diffuso tramite i social un testo in cui accenna ai recenti casi del Teatro di Roma e del Piccolo Teatro di Milano, facendo notare l’assenza di bandi pubblici e chiedendo di andare oltre, ossia di arginare la disparità di genere. Scrive Amleta: « Sono spesso infatti gli stessi nomi ad alternarsi alla guida di questo o quel teatro, alcuni addirittura finiscono per rimanere in quelle posizioni per un paio di decenni». E riferendosi ai teatri nazionali:
«Non troviamo ad oggi nessuna donna che ricopra il primo ruolo direttivo. In altri paesi europei la presenza di soli uomini alle posizioni decisionali in ambito culturale è studiata e monitorata direttamente dal Ministero della Cultura, che investe in ricerche e prevede politiche per colmare il divario di genere. Qui da noi non se ne parla, si dà per scontato che non debba costituire motivo di attenzione. E ancora che tipo di impatto crea sulla diversificazione di offerta culturale e su tutto il settore produttivo questo tipo di tendenza?»
Amleta individua proprio in quest’abitudine una delle ragioni per cui il teatro non è più frequentato come un tempo: «Se il pubblico si allontana dal teatro è anche perché il teatro non riesce ad essere quello specchio della società che resta la sua vocazione principale; se il teatro non rappresenta la nostra vita è anche perché le scelte culturali spesso difettano di visioni, di rapporti reali con le persone, di inclusività fattiva nei confronti dei generi, delle classi sociali e di quelle diversità che chiedono a gran voce di essere narrate e rappresentate. Il teatro deve connettersi alla società e non rimanere sordo alle sue richieste perché è esso stesso generatore di comunità e di cultura sociale, motivo per il quale viene pubblicamente sovvenzionato».
E ancora: «Vogliamo che mai più una nomina, una pubblica chiamata o un bando possa essere considerato accettabile se non prevede la candidatura di una o più donne. Non chiediamo di modificare gli statuti dei Teatri Nazionali, ma ci aspettiamo che siano i membri dei Cda a rendersi fautori consapevoli di un cambiamento progressista».
Clicca qui per il testo del Collettivo Amleta (su Facebook)