Ero bambino quando lo vidi la prima volta. Fu una iniziazione al teatro. Anche oggi se mi si chiede il titolo di un’opera teatrale da dire senza pensarci su mi viene: Natale in casa Cupiello. Quell’uomo bambino che vive nel suo mondo di fantasia e di favola rappresentato dal presepio mentre nella sua casa si sta consumando la tragedia, mi ha sempre colpito. E mi stupisce tutt’ora il rapporto con questo figlio, Tommasino, che in famiglia chiamano Nennillo, impunito e ritardato. “Te piace ‘o presepio?”, la domanda che Luca rivolge quasi con non chalance a suo figlio, all’interno di un discorso in cui si parla d’altro. E la risposta è sempre la stessa, con la stessa protervia: “Nun me piace!”
Gli spettatori ridono da 80 anni a questa battuta che se è possibile è diventata più famosa della commedia stessa. Natale in casa Cupiello? Quella del presepio, ah sì me la ricordo, si sente dire. E giù a ridere. Io invece ci sto male perché penso al povero Luca, alla sua ingenuità innocente al suo rifugiarsi nel rito di quel povero presepe di cartapesta, con l’enteroclisma a pompare l’acqua della cascatella. Lo fa per se, ma lo fa anche per suo figlio Tommasino e anche per la moglie che non capisce l’importanza del presepio, per non parlare del fratello che vive con lui perché non si è mai fatto una famiglia sua e se ne sta rintanato nel suo egoismo, sempre attento a non mettersi a letto malato perché il nipote non si venda le sue scarpe e il suo cappotto. A nessuno interessa il presepe di Luca che comincia a preparare un mese prima della notte di Natale, quando la famiglia si riunirà, quando verrà anche la figlia sposata con il marito e Luca si illude che tutti ammireranno la sua opera, faranno esclamazioni di meraviglia quando vedranno l’acqua che scende dall’enteroclisma. E invece niente, al massimo una occhiata distratta, con il pensiero altrove e un “bello… bello…” buttato lì. Con Tommasino ostinato nel suo diniego… “nun me piace ‘o presepe”.
Ci stavo talmente male che mi veniva la voglia di mettermi al posto di Tommasino soltanto per poter dire al povero Luca : “me piace ‘o presepio… mi piacciono le pecorelle… mi piace pure l’acqua pompata dall’enteroclisma…”, anzi mi sarebbe piaciuto dare un mano a Lucariello, aiutarlo a incollare qualche pezzo di legno a ritagliare un cartone, magari rinunciare alla paghetta per andare a San Gregorio Armeno e ritornare a casa con un nuovo personaggio, magari la statuina di Totò o dello stesso Eduardo, da presentare in un bel pacchetto, che Luca scarterà con cura e poi vedere la meraviglia stampata sul suo volto. Mi sarebbe piaciuto essere insomma il figlio di Luca Cupiello per farlo felice con il suo presepe. E ci provai pure, mi presentai al grande Eduardo per chiedergli di entrare nei panni di Tommasino, anche soltanto per una sera. Avevo visto la commedia tante di quelle volte che sapevo la parte a memoria e avevo imparato anche il napoletano. Mi guardai bene dal dire al Maestro che la mia intenzione era quella di cambiare le battute, di dare finalmente un po’ di soddisfazione a povero Lucariello. Per convincerlo mi ero anche procurato un cappottaccio stretto e liso, una sciarpa consunta e una coppola larga. Insomma ero proprio in parte. Mi sembrava di essere Tommasino. Ora bisognava convincere il Maestro. Il caso mi venne in aiuto: Pietro De Vico, l’attore che faceva la parte di Tommasino si era ammalato, niente di grave ma una malattia fastidiosa lo avrebbe tenuto lontano dalle scene per un po’ di tempo. Ed Eduardo non aveva nessuna intenzione di interrompere le recite e quindi era alla ricerca di un sostituto. Mi presentai con il mio costume di scena che mi ero preparato con tanta cura, recitai ampi brani della parte di Tommasino, comprese le famose battute sul presepe, e fui assunto.
Il Maestro, anche se sapevo la parte a menadito, pretese giustamente che si facessero per me, con tutta la compagnia, le prove generali che superai brillantemente. Avevo anche capito che Eduardo, nella sua severità, mi aveva preso in simpatia.
Arrivò il momento della prima e, stranamente, non mi sentivo affatto emozionato perché capivo che non si sarebbe consumato un momento fondamentale per una carriera nuova, ma che ero lì soltanto per un atto di giustizia, oserei dire per una missione umanitaria. Infatti ero sereno, dissi tutte le battute in scioltezza, risposi a tono a Pupella Maggio, la mia “mamma”, che mi allettava con la promessa di uno “zuppone” di latte per farmi alzare (“Sùsete Tommasì che songo ‘e nove”… “Nun me voglio susì…) e mi resi conto che il pubblico si divertiva ed era ben disposto nei miei confronti. Arrivò il momento fatidico, quando Eduardo-Luca Cupiello si rivolge a me con la famosa frase: “Te piace ‘o presepio?”. E lì consumai il mio atto di giustizia, la mia rivoluzione personale: “Sì, papà, mi piace moltissimo il tuo presepio!” dissi forte e chiaro, scandendo le parole.
Quello che avvenne dopo ve lo risparmio, vi posso dire soltanto che i calci nel deretano a distanza di tanto anni, al ricordo, ancora mi bruciano.