Segrete inquietudini e graffi sull’anima in un feroce gioco al massacro che mette a nudo incomprensioni e amare verità: debutta nell’Isola “Chi ha paura di Virginia Woolf?” di Edward Albee, in cartellone da STASERA (mercoledì 17 febbraio) alle 20.30 fino a domenica 21 febbraio al Teatro Massimo di Cagliari (tutti i giorni da mercoledì a sabato alle 20.30, la domenica alle 19 e giovedì doppio spettacolo, con la pomeridiana alle 16.30) per la stagione de La Grande Prosa firmata CeDAC.
Un classico del Novecento, conosciuto e rappresentato ancora oggi in tutto il mondo, dopo il fortunato esordio a Broadway nel 1962: l’opera più famosa del drammaturgo statunitense è incentrata sull’incontro/ scontro tra una coppia di mezza età – George, professore di storia all’università, e la moglie Martha, figlia del preside – e una coppia più giovane, che ne rappresenta in un certo senso lo specchio – Nick, docente di biologia e la moglie Honey, innamoratissima e fiera dei successi del marito. Un invito apparentemente casuale e innocente, per un drink dopo cena – quasi un semplice atto di cortesia, per dare il benvenuto ad un nuovo insegnante – si trasforma in guerra aperta, in cui le insinuazioni, le allusioni e le battute velenose raggiungono un crescendo di insulti e reciproche recriminazioni, in una sorta di drammatica catarsi con un finale inatteso, caustico e amaro: «La festa è finita».
La celebre pièce – trasportata sul grande schermo da Mike Nichols con un cast stellare, in cui spiccavano i nomi di Elizabeth Taylor e Richard Burton accanto a George Segal e Sandy Dennis – nella mise en scène di TieffeTeatro vede protagonisti Milvia Marigliano (vincitrice del Premio Nazionale del Critica 2015 come Miglior Attrice per questo spettacolo) e Arturo Cirillo (che firma anche la regia) con Valentina Picello e Edoardo Ribatto: corto circuito delle passioni e dei desideri, delle ansie, le speranze tradite e le disillusioni, in una conversazione che supera ben presto i confini dell’urbanità e della rigida buona educazione, per invadere territori intimi e dolorosi.
Le scenografie evocative di Dario Gessati e i costumi di Gianluca Falaschi, come il disegno luci di Mario Loprevite, mettono in risalto la tensione e il pathos di una tragedia che sta per compiersi, con la conclusione di un amore: in una vorticosa giostra dei sentimenti i protagonisti riconsiderano le proprie esistenze, ripensano il passato alla luce di nuove e antiche ferite, si proiettano in un’ipotesi catastrofica di futuro. Nodi invisibili legano ormai i destini dei due coniugi più maturi, tracce dell’antica tenerezza, di un rispetto ormai perduto, e dell’attrazione reciproca affiorano, sia pure deformate nella parodia: una sorta di simbiosi li rende necessari l’uno all’altra, come l’aria e il grado alcolico che stempera la malinconia ma accende il rancore.
Sull’onda del successo a Broadway, “Chi ha paura di Virginia Woolf?” (Who’s afraid of Virginia Woolf?) è stato rappresentato anche in Europa: la prima mise en scène italiana, a metà degli Anni Sessanta con Enrico Maria Salerno e Sarah Ferrati, accanto a Umberto Orsini e Manuela Andrei, per la regia di Franco Zeffirelli, segnò una vera rivoluzione culturale e di costume. Vent’anni dopo – nella stagione 1985-86, la versione di Mario Missiroli (con traduzione di Franco Brusati), con Anna Proclemer e Gabriele Ferzetti, e Susanna Javicoli e Roberto Alpi poi la rilettura in chiave grottesca di Gabriele Lavia, anche protagonista sulla scena nel ruolo di George, accanto a Mariangela Melato, con Agnese Nano e Emiliano Iovine. Alberto Lupo – all’apice del successo televisivo – avrebbe dovuto interpretare George in teatro, ma dovette interrompere le prove a causa di una grave malattia; tra le versioni italiane del dramma, da segnalare anche quella diretta e interpretata da Ileana Ghione (2003).
“Chi ha paura di Virginia Woolf?” – il titolo rimanda a una sorta di filastrocca, un gioco di parole che è anche un’eco della festa da cui son reduci i quattro protagonisti – dipinge un crudo affresco della società, mettendo l’accento sull’ipocrisia delle regole e delle convenzioni, e dei riti mondani in cui ciascuno cerca di offrire la migliore immagine di sé per non tradire le aspettative altrui. L’inganno – condiviso – di una raffinata civiltà in cui si discorre con amabilità, magari accendendosi d’entusiasmo, ma senza mai lasciarsi coinvolgere fino in fondo, di temi generali, dalla politica all’istruzione, la pace e la guerra, l’economia (salvo poi scatenarsi in spietati pettegolezzi e critiche, in netto contrasto con la serenità e la pretesa armonia di un’enclave accademica) si dissolve appena oltre la soglia di casa.
Martha e George recitano il proprio rituale privato, come due antagonisti, nemici uniti dal sacro vincolo del matrimonio, ferendosi a parole e insultandosi spietatamente nella breve schermaglia che precede l’arrivo degli ospiti: un delirio a due, favorito dal potere liberatorio dell’alcol, che si trasforma in aperto conflitto sotto gli occhi della giovane coppia, sopraggiunta per un invito da non rifiutare. da parte della figlia del preside, e subito trascinata nel vortice di reciproche accuse, tra scherno, malizia e incomprensibile dilaniante ferocia. Coppie allo specchio – quella più matura, intenta a lanciarsi strali, sostituendo con l’aggressività i resti di un’antica passione, e quella più giovane e ingenua, travolta suo malgrado e sgomenta davanti alla visione di quei due che forse ormai non conoscono altro modo di amarsi e comunicare se non offendersi, dando spettacolo di sé e dei propri peggiori impulsi.
Dramma moderno – e avvincente – in cui si intrecciano il pathos della tragedia e l’ironia della commedia “Chi ha paura di Virginia Woolf?” tocca temi sensibili e delicati, pur estremizzandoli nella catarsi alcolica dei protagonisti: la fragilità umana, la volubilità del cuore e i tortuosi labirinti della mente si svelano per un istante, in una farsa terribile e grottesca in cui non si salva nessuno.
Sottolinea Arturo Cirillo nelle note di regia: «Il testo di Albee è una dolente e spietata riflessione sull’invecchiare, sul tempo, sull’inutilità dei giorni, ma anche sull’amore. Amore vero ed immaginario, o forse più vero quanto più immaginato. Come in una commedia di Pinter, ma contaminata col melodramma, come in un gioco al massacro, come in un interrogatorio o in una tortura, siamo in una stanza, un salotto con l’ingombrante presenza di un mobile bar, in una notte di sabato, dove pian piano si dà inizio ad un rito, un sacrificio, alla creazione di una camera ardente costruita su un fiume di alcol e di bottiglie vuote. Giocando e recitando ci si trova, senza volerlo, davanti ai propri rimpianti, pentimenti, dove si scopre che si è cattivi perché non si sopporta di poter essere amati, di potersi amare. E allora il tentativo di distruzione dell’altro è desiderio di distruzione di sé, ma da compiere impudicamente in “faccia al pubblico”, illuminati dalle luci della ribalta, dove si guarda davanti per non vedere le nostre ombre, proiettate dietro di noi, che ci fanno paura. Siamo noi quelli che hanno paura di Virginia Wolf.»
Per il ciclo di incontri “Oltre la Scena/ gli attori (si) raccontano…” venerdì 19 febbraio alle 17.30 al Cinema Odissea di Cagliari la parola ai protagonisti di “Chi ha paura di Virginia Woolf?” – ingresso libero (fino ad esaurimento posti)
SCHERMI & SIPARI/ La Grande Prosa al Cinema Odissea di Cagliari per la rassegna a cura di Spazio 2001 e CeDAC: domenica 21 febbraio alle 11 si proietta il film “Chi ha paura di Virginia Woolf?” di Mike Nichols, con Elizabeth Taylor, Richard Burton, George Segal e Sandy Dennis.