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Dal centro d'accoglienza a teatro: rifugiati testimoni delle loro vite

Sono questi i due mondi che a L’Aquila hanno accolto i giovani migranti: una ventina hanno accettato di partecipare ai corsi teatrali e di entrare nelle scuole.

Dal centro d'accoglienza a teatro: rifugiati testimoni delle loro vite
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19 Giugno 2015 - 15.59


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di Elisa Cerasoli

Il teatro e la scuola. Sono questi i due mondi che a L’Aquila hanno accolto i giovani migranti che partecipano al “Progetto Accoglienza Sprar”, del quale il Comune dell’Aquila è titolare e il Comitato Territoriale Arci L’Aquila è realizzatore. Lasciati i loro Paesi, attraversato il Mediterraneo, dopo la prima accoglienza sono arrivati nel capoluogo abruzzese in duecento dal 2013. Oggi sono 36. Una ventina i rifugiati che all’interno del proprio percorso di seconda accoglienza hanno accettato nel biennio 2014-2015 di partecipare ai corsi teatrali e, grazie al progetto realizzato in rete con altre realtà del territorio (Artisti Aquilani, Ludobus, Bibliobus e Action Aid), di entrare nelle scuole di vario ordine e grado per raccontare la propria storia o semplicemente giocare con i più piccoli.

Dal Centro di accoglienza al palcoscenico. Un percorso che parte da lontano e che nel tempo è maturato. Nel 2014 infatti, insieme a gruppi di attori aquilani è stato realizzato uno spettacolo a conclusione di un laboratorio che attraverso la musica e il linguaggio del corpo ha permesso ai ragazzi di lavorare con le emozioni e di toccare il proprio vissuto. Ne è nata “Dove cantano le favole”, una pièce in cui gli attori sono i migranti stessi, impegnati in una lettura bilingue delle favole dei loro paesi di origine accompagnate da musica e coreografie. Uno spettacolo che ora viene “venduto” nelle varie piazze estive e che è già stato presentato alla cittadinanza e alle scolaresche.

Nel 2015 il secondo step del progetto: il contatto diretto con l’esterno. Da attori a protagonisti e testimoni delle proprie epopee personali. Dalla scuola dell’infanzia all’Università, i rifugiati e le loro storie sono diventati il centro di momenti di incontro. Gli operatori dell’Arci, grazie alla buona prassi dei progetti Sprar che prevedono anche percorsi individuali, hanno individuato sensibilità e interessi dei ragazzi e li hanno accompagnati nei diversi istituti dove, in base al grado scolastico, è stato adottato un approccio differente. Alcuni sono entrati nelle scuole dell’infanzia e lì, attraverso il gioco, hanno passato tempo con le scolaresche: la curiosità dei bambini è stata coinvolgente.

In 10 istituti primari, invece è stato portato lo spettacolo “Dove cantano le favole” e alcune scuole hanno pagato la pièce. Non è difficile immaginare la sorpresa dei ragazzi che, sebbene per brevi momenti, si sono ritrovati non solo ad essere veri e propri attori davanti a un pubblico vasto, formato oltre da bambini, insegnanti e famiglie, ma anche ad avere un piccolo caché.
Nelle scuole medie i rifugiati hanno offerto i loro racconti di vita e morte e gli alunni che con una psicologa e alcuni insegnanti avevano già svolto un percorso di consapevolezza e che hanno mostrato grande interesse e capacità di ascolto e di empatia.

All’Università dell’Aquila, presso la Cattedra di Pedagogia Interculturale, l’azione poi è stata articolata e strutturata in due fasi: seminariale la prima in cui tutti i protagonisti del progetto hanno reso testimonianza del proprio lavoro (operatori, psicologi, responsabili e beneficiari), di laboratorio la seconda in cui, suddivisi in piccoli gruppi e guidati dal professore, beneficiari e alunni hanno sperimentato dinamiche di relazione.

Andrea Salomone, coordinatore dei progetti di accoglienza e integrazione per Arci L’Aquila, racconta con orgoglio e fatica ogni singola azione pensata per facilitare il percorso verso l’autonomia. “Il nostro compito è vastissimo. Ci occupiamo di questi ragazzi in diversi modi: nelle prime settimane si svolgono le pratiche burocratiche relative ai propri documenti e alla richiesta di asilo. Vengono aiutati all’inserimento nel contesto territoriale. Da subito i ragazzi iniziano a frequentare corsi di italiano. Cerchiamo di coinvolgerli nelle attività culturali e, generalmente, dopo due o tre mesi inizia la fase più importante: l’inserimento lavorativo. Individuiamo le aziende, proponiamo tirocini formativi, offriamo un supporto psicologico con l’obiettivo di individuare percorsi professionali personalizzati. In questo momento abbiamo tre ragazzi appena usciti dal progetto che hanno trovato lavoro qui a L’Aquila grazie ai tirocini e possono essere autonomi; pagare un affitto e vivere decorosamente del proprio lavoro. Sapere che c’è chi ce la fa, anche grazie al nostro lavoro, è la speranza più grande per il futuro”.

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