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Sono nata il 23: Teresa Mannino presenta il suo spettacolo

Intervista all’attrice e comica siciliana in scena dal 19 al 29 marzo 2015 al teatro Ambra Jovinelli di Roma.

Sono nata il 23: Teresa Mannino presenta il suo spettacolo
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18 Marzo 2015 - 19.28


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di Chiara D’Ambros

“Un cabarettista parte sempre dalla sua esperienza personale” racconta Teresa Mannino, presentando il suo nuovo spettacolo “Sono nata il 23”, che approda al Teatro Ambra Jovinelli di Roma da oggi, 19 marzo 2015, per proseguire fino al 29 marzo 2015. Questa volta la Mannino non solo parte dalla sua storia, si sofferma raccontarla, iniziando proprio dall’infanzia difficile in una Sicilia contaminata in modo inesorabile dalla mafia. Nel suo racconto non entra mai nel tragico, lei ama far ridere e quello della risata rimane il tono dell’intero spettacolo seppure tra le righe non mancano riflessioni, se non aspre almeno perplesse, sulla famiglia attuale che ricordano immagini di morettiana memoria in cui i genitori sono sovrastati dalla preoccupazione di proteggere i propri figli, ma poco si preoccupano a partecipare alla costruzione del mondo in cui crescono.

Come è nata l’idea di raccontarti?

La verità, verità è che ci sono due motivi. Uno che il cabarettista di solito parte da esperienze vissute, poi raccoglie anche esperienze di altri sullo stesso tema e infine li porta in scena. Poi c’è un altro aspetto, l’origine di tutto. Ciò che mi ha scatenato la voglia di raccontarmi è nata dal fatto che avevo presentato insieme a Pif il suo film a Palermo, il film “La mafia uccide solo in estate”, perché io facevo parte del cast ma poi sono stata tagliata per una serie di motivi di montaggio. Io facevo una maga a cui lui raccontava la storia ma siccome poi questa dinamica ci si è resi conto che rallentava troppo il ritmo della storia, si è preferito utilizzare come collante narrativo la sua voce off. Però lui mi ha voluto alla presentazione del film a Palermo, che è stata fatta al Teatro Biondo aveva invitato magistrati, e altri personaggi, eravamo mi sembra 6-7 sul palco, e ognuno di noi raccontava quale era la sua esperienza con la mafia da piccolo. E io ho portato una mia foto di quando ero piccola, la foto della mia prima comunione, e a partire da quella foto, quindi, sono partita facendo ridere raccontando della mia infanzia, mentre poi sono passata a raccontare della parte tragica, ossia il mio contatto quasi quotidiano con la mafia, Ci fu una grande risposta del pubblico, sia di risata all’inizio che poi di pianto, commozione alla fine. E da lì è nata poi la voglia di riutilizzare quella parte, eliminando la parte più drammatica e di raccontarmi a partire proprio da quella foto.

Nel racconto torni al tuo rapporto con la mafia?

No, c’è solo un ricordo ma è molto freddo, molto distaccata perché quelle cose di cui io ho parlato quel giorno sono cose drammatiche, anche per la mia famiglia quindi io che sono un’attrice comica, preferisco e mi piace fare ridere, in questo momento mi piace portare in scena la comicità, l’aspetto comico della vita ed è il linguaggio che preferisco in assoluto, perché poi crea un’atmosfera, un’energia fortissima, e quindi quelle parti non le ho messe nello spettacolo.

Nella presentazione si dice che parli dei calciatori di ieri e di oggi, come entrano nella tua biografia?

Raccontando di quando ero piccola, una cosa che mi è venuta in mente è che ai tempi nostri i calciatori erano quelli delle figurine, delle partite e non c’era tutto questo clamore, non avevano questo ruolo sociale che hanno ora, in cui sono entrati nello star system, sfilano con le veline, le modelle, prima si parlava di calcio spettacolo, ora c’è più spettacolo e meno calcio, anche se i calciatori giocano sempre ad altissimo livello. I calciatori hanno cambiato ruolo rispetto agli anni ’70. Confronto, quindi, i calciatori di ieri che erano più educatori con quelli di adesso.

Affronti anche il tema del rapporto genitori e figli, come ti addentri in questo tema spinoso e che oggi è tutt’altro che un tema comico.

In realtà c’è un aspetto comico forte se tu ti distacchi da quelle che sono le notizie di cronaca che tra l’altro sono la punta dell’Iceberg, sono il sintomo tragico di una malattia comune. E siccome parlavo di me da piccola, mi è venuto spontaneo parlare dei bambini di oggi perché io ho una bambina piccola, che ora fa 6 anni e vedo come sono diversa io rispetto ai genitori di allora. Quindi è molto autocritico perché io parlo di me, quando parlo dei genitori di oggi che sono troppo preoccupati, che curano in maniera eccessiva i propri figli qui c’è un aspetto comico, quando dico per esempio che noi la mattina la mamma ti buttava fuori dalla porta, ti diceva vai, esci e torna tardi. I genitori cercavano di liberarsi di tutta questa orda di bambini tra nipoti, figli, amici. Mentre ora con tutti questi figli unici che sono i più diffusi, diciamo, quasi non li lasci nemmeno giocare davanti casa nel giardino recintato, con le telecamere, e i vicini ti consigliano anche di mettere il microchip al bambino per stare più tranquilli. È un eccesso malsano. È tutto autocritico, parto da me, a noi se cadeva un pezzo di pane dicevano soffia e mangia, tutti anticorpi, ora lo butti. Quindi, parto da aspetti molto quotidiani di questa preoccupazione e colgo i lati divertenti.

In che senso dici che non ci preoccupiamo, invece, abbastanza del contesto in cui crescono?

Forse non è giusto quello che dico ma la mia sensazione è che ci preoccupiamo tanto del fatto che devono fare delle cose fuori casa, attività, corsi ecc… ma non ci si preoccupa di costruirlo questo fuori. C’è una delega eccessiva rispetto al fuori ma non c’è partecipazione. Ma forse con questa crisi che non è solo economica, ovviamente, ci si può rimettere in discussione, dato che è una crisi di tutte le certezze che richiede forse una maggiore partecipazione. Piano piano, forse, ci stiamo ri-sintonizzando, però ci spaventiamo molto del fuori perché neanche lo conosciamo e non partecipiamo per renderlo migliore. Il massimo che facciamo è andare a votare quando c’è da votare ma non c’è poi una partecipazione effettiva a quello che succede e questo ci fa preoccupare ancora di più.

In quale aspetto della società in cui crescono in nostri figli, secondo te dovremmo prestare più attenzione?

Nell’aspetto politico ma intendendo per politica quello che era per i greci, proprio di visione, condizione, organizzazione della polis, della città, della società. Quindi dalla cosa più semplice anche solo lamentarsi, denunciare, riorganizzarsi, dire le cose che non vanno, ma non in casa, dette fuori. Partecipare. Non è mai un giudizio sugli altri, è sempre un’autocritica.

Tratti temi come il tradimento, le eroine e gli eroi. Qual è il tuo antieroe?

Io non sono cattolica se non perché sono cresciuta in questa società con questi valori ma sentivo una frase di papa Francesco che parlava degli ipocriti ecco, non tanto il peccatore, l’antieroe è l’ingiusto, colui che persegue non la giustizia ma la giustezza e poi c’è l’ipocrita quello che fa finta di fare il giusto, quindi è il massimo dell’antieroe perché c’è pure la finzione, una copertura, quindi è peggio del peccatore.

Il tuo eroe?

I miei eroi, perché in realtà sono tre Socrate, Gesù Cristo e Gandhi.

Usi un modo molto diretto, c’è una battuta dello spettacolo che ami e che racchiude questo tuo essere diretto?

Forse non è una battuta, è forse l’inizio di improvvisazione in cui chiacchiero col pubblico e in base a quello che mi dicono, a quello che succede per esempio con chi arriva in ritardo cui chiedo perché è arrivato in ritardo, come ti chiami, che lavoro fai, cioè si comincia a chiacchierare…c’è stata una scena bellissima a Milano di due signore che quasi litigavano perché una ha fatto alzare l’altra allora ho fatto fare loro pace. Fortunatamente il pubblico che viene a vedermi già mi conosce quindi si aspetta già un po’ questo altrimenti potrebbe restarci male o arrabbiarsi dire “questa come si permette”, soprattutto in questi teatri un po’ più borghesi. Ma il pubblico mi conosce, sa come sono fatta.

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