Alessandro Berti, l’abbandono alla divina Provvidenza | Giornale dello Spettacolo
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Alessandro Berti, l’abbandono alla divina Provvidenza

Ilaria Drago dopo aver tracciato con la sua poesia il teatro di Roberto Latini, narra la potenza scenica di Alessandro Berti. Un'artista che racconta un'artista.

Alessandro Berti, l’abbandono alla divina Provvidenza
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3 Gennaio 2015 - 11.17


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di Ilaria Drago

Chi è un uomo che attraversa questo paese quasi in silenzio lasciando tracce di sé tra le mura carnivore delle Chiese e di coloro che sono presenze ad ascoltarlo? Un clandestino? Un poeta-nomade? Affidargli per un’ora il silenzio, il riposo segreto della mente; lasciare a lui la chiave scarna degli affetti, i sentimenti intensi, che la sua emozione pacata e potente guida e spinge da dentro a fuori a dentro. Non ho visto uno spettacolo, non posso pensare questo, non corrisponde, non completa. Con Alessandro Berti ci dev’essere altro. Bisogna immaginarsi in un luogo altro della tua vita di ogni giorno. Uno di quelli che in genere faticano a prendere spazio e che invece ti farebbero forse migliore. Io ho meditato. Lui posa la domanda davanti a te. Posa la strada che collega te a Dio. La posa lui, perché si fa semplicemente pagina su cui leggere le parole di Jean Pierre de Caussade. Nel mostrarla, pulito delicato lui sembra farsi da parte. E cosa dovrebbe chiunque abbia l’ardire o l’incombenza di questa specie di missione? Farsi da parte, pur essendoci. Bello. Stare con Berti. Guardarlo. Sembra un Cristo, ma non crocifisso. Lì a parlare. Questo lavoro è silenzio capace di seminare e mietere in un tempo solo.

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