di Gabriele Bisconti
Il 4 settembre 2006 si spense a 64 anni, a causa di un tumore al pancreas, il simbolo dell’Inter degli anni ’60 e ’70. Diciotto anni fa non pianse solo l’Inter ma tutto il mondo del calcio, perché, dopo una lotta contro una malattia all’epoca incurabile che durava dal 2004, morì Giacinto Facchetti, un esempio di cosa vuol dire essere attaccati alla maglia senza eguali (o quasi).
Giacinto è stato il capitano per eccellenza dei trionfi nerazzurri, ma si sa che i miti sono immortali e allora sembra di vederlo ancora lì sulla fascia sinistra ad interpretare per primo il ruolo di terzino fluidificante o a guardare la monetina che agevolava l’ingresso in finale di un’Italia che poi avrebbe vinto l’Europeo casalingo del 1968 (fu il primo successo nella competizione).
Con Tarcisio Burgnich, Facchetti ha formato il duo difensivo più longevo nella storia della Nazionale (dal 1963 al 1974 insieme disputarono 58 partite). Inoltre, è ancora oggi il giocatore che ha indossato per più tempo la fascia di capitano degli Azzurri (undici anni, dal 1966 al 1977) ed è stato il primo giocatore a disputare due mondiali consecutivi da capitano (Messico 1970 e Germania Ovest 1974).
Facchetti, ha legato il proprio nome a quello dell’Inter della quale è stato giocatore dal 1960 al 1978 (634 partite e 75 reti totali) e presidente dal gennaio 2004 fino alla sua morte.
In tutto, con la maglia nerazzurra addosso ha conquistato nove trofei, vincendo sia a livello nazionale (quattro campionati e una Coppa Italia) che internazionale (due Coppe dei Campioni e due Coppe Intercontinentali) mentre con la casacca della Nazionale è riuscito a mettere in bacheca oltre al sopracitato Europeo anche un secondo posto conquistato al Mondiale del 1970 che si svolse in Messico.
Con lui nei panni di presidente, invece, l’Inter ha vinto un campionato, due Coppe Italia e due Supercoppe Italiane. In seguito alla sua morte, la “Beneamata” ha deciso di ritirare la maglia numero tre, da lui portata con onore per quasi vent’anni. ll giornalista Gianni Brera lo soprannominò Giacinto Magno, per sottolinearne l’elevata statura e l’autorevolezza in campo.
Oggi tutto è cambiato e le bandiere non esistono quasi più, ma il suo nome è ancora ben impresso nelle menti di chi è cresciuto con il calcio del passato, quello delle bandiere e dei sogni ad occhi aperti.