Il nostro giornale, per corroborare lo spirito di partecipazione all’importante ricorrenza, pubblicherà una serie di articoli che ricordano la Resistenza. Si va da quello dei film che raccontano quel periodo a quello sui canti popolari fino ai quattro articoli dedicati, ognuno, a una poesia che il redattore reciterà.
di Marcello Cecconi
Il 25 aprile si celebra in Italia la Festa della Liberazione, una ricorrenza significativa per la nostra storia in quanto commemora la liberazione dell’Italia dal nazifascismo. È una festa nazionale, simbolo della Resistenza, che ricorda la lotta partigiana che ebbe inizio l’8 settembre 1943, il giorno dell’armistizio, e proseguì insieme agli alleati fino alla completa liberazione dall’occupazione nazista.
Ogni anno, da qualche anno, l’avvicinamento al 25 aprile è un percorso sempre più ad ostacoli. Il sistema mediatico, impacchettato nelle piattaforme social, non si nutre più dell’evento e della sua sacralità ma degli effetti che producono le voci critiche e le controversie intorno a questa commemorazione. Un flusso informativo continuo alimentato dai rappresentanti politici che scavalcano la disintermediazione dei media per arrivare direttamente ai cittadini attraverso i social.
Le contraddizioni aumentano con l’arrivo del Governo di destra-centro che ha per fulcro una classe dirigente che mostra radici appassite del passato fascista a Bruxelles e che poi corre a Budapest o Varsavia per innaffiarle con orgoglio. Solo chi farebbe a meno di questa ricorrenza solleva interrogativi sulla strumentalizzazione politica fatta dalla sinistra che si sarebbe intestata la paternità della Liberazione dal nazi-fascismo. Solo chi farebbe a meno di questa ricorrenza fa finta di non ricordare che la Resistenza è stata condivisa da tutte le forze antifasciste: liberali, repubblicane, cattoliche, socialiste, comuniste e in alcuni casi anche monarchiche.
La sinistra ha solo il “torto” di averla mantenuta viva anche negli anni più difficili del dopoguerra quando la Democrazia Cristiana, costretta a patteggiare con l’allora fronda postfascista, abbassava toni e invitava da ogni pulpito, sacro e non sacro, a guardare oltre i simboli della Resistenza. Eppure anche allora quegli elettori cattolici restavano fermamente antifascisti pur preferendo ammainare la bandiera bianco-scudata dai cortei e dalle manifestazioni che, solo per questo, si coloravano sempre più di rosso e del tricolore dell’Anpi.
Oggi si discute sull’essere ancora antifascista e, qualche microfono, per sentirlo affermare si insinua sotto il naso del Premier Meloni, del Presidente del Senato La Russa e del Ministro della Cultura Sangiuliano. C’è il desiderio voluttuoso dello scoop “sì, sono antifascista” mentre continua a rimbombare la classica risposta stizzosa “io sono antitotalitario”. C’è l’idea malsana di mettere sullo stesso piano fascismo/nazismo e comunismo ma c’è soprattutto la determinata incoscienza di mettere in discussione la Costituzione nata sull’antifascismo. Insomma chi si professa non antifascista si mette automaticamente fuori dell’arco costituzionale.
Avanti con il ribaltamento della cultura egemone della sinistra, avanti piano, ma avanti. “…è un’azione di erosione, dall’interno, attraverso gli stessi strumenti democratici. Non marciano su Roma i nemici o gli avversari della democrazia liberale, arrivano a Roma vincendo le libere democratiche elezioni” – dice alla “Repubblica delle Idee” Antonio Scurati. Lo stesso, che si è visto prima accettato e poi rifiutato il monologo per la celebrazione della Resistenza durante la trasmissione CheSarà di Serena Bortone e che stato così beneficiato dal clamore dell’azione erosiva della Rai divenuta, in questo caso, un boomerang.
Eppure, anche per i deboli di memoria antifascista, quest’anno ci sarebbero tante pillole di rinforzo. Ricordiamone almeno due: i 100 anni dell’omicidio di Giacomo Matteotti e gli 80 delle Fosse Ardeatine. La prima ricorda il rapimento e l’uccisione di Matteotti, deputato e segretario del Partito Socialista Unitario (nato nel 1922 dalla scissione del Partito socialista italiano) che avvenne il 10 giugno del 1924. A pochi giorni di distanza da quando, in Parlamento, ebbe l’ardire di denunciare l’irregolarità delle elezioni del 6 aprile che videro il trionfo del partito fascista sotto lo stretto controllo delle cabine di voto da parte delle milizie armate fasciste. Matteotti concluse il suo discorso, guardando i colleghi di partito e conscio del futuro che di lì a poco l’avrebbe atteso: “Io, il mio discorso l’ho fatto. Ora voi preparate il discorso funebre per me”.
La seconda data è quella dell’eccidio delle Fosse Ardeatine, rappresaglia per l’attentato di via Rasella, avvenuta ottant’anni fa, il 24 marzo del 1944. Un elenco che va dalla A di Ferdinando Agnini alla Z di Augusto Zironi, che scorre per 365 nomi che non sono solo carte di identità, ma vite, storie di vita vissuta che come un puzzle vanno a ricostruire il ritratto dell’Italia in uno dei momenti più tragici. Il Governo Mussolini era caduto nove mesi prima e la reazione degli occupanti tedeschi alla resa dell’8 settembre si incentrò soprattutto sui partigiani lasciati da soli a combattere contro il nemico, mentre il Re e l’appena nato Governo Badoglio si trasferivano a Brindisi, in braccio agli americani e agli alleati che stavano risalendo lo stivale.
E allora, seguiamo l’equilibrio del nostro Presidente Mattarella e giovedì prossimo con fermezza e orgoglio ricordiamo il sacrificio di tanti italiani che ci hanno permesso la costruzione di un futuro migliore. Usciamo, partecipiamo e cantiamo “Bella Ciao” e, per un giorno, promuoviamo solo la memoria condivisa e l’unità nazionale.