Tom Waits, l'abbandono all'oblio di una voce: la parola di Eleonora Bagarotti | Giornale dello Spettacolo
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Tom Waits, l'abbandono all'oblio di una voce: la parola di Eleonora Bagarotti

Eleonora Bagarotti, giornalista fulminata in gioventù da una passione sulla via di una Damasco rock, la “Swingin’ London”, non lascia molti dubbi a chi decida di leggere il suo nuovo libro: Tom Waits. La voce e l’oblio

Tom Waits, l'abbandono all'oblio di una voce: la parola di Eleonora Bagarotti
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2 Novembre 2021 - 13.45


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di Rock Reynolds 

Alto, allampanato, non certo un adone secondo i canoni classici, con una voce baritonale e roca che sa di gin e nottatacce, non si sposa esattamente con i cliché della rockstar, se non per quell’aria burbera e maledetta che trasmette. Signore e signori, Tom Waits, “un grande, non stanchiamoci di ripeterlo”.

Quando si dice essere chiari. Eleonora Bagarotti, giornalista di lungo corso fulminata in gioventù da una passione insana sulla via di una Damasco rock, la “Swingin’ London”, non lascia molti dubbi a chi decida di leggere il suo nuovo libro: Tom Waits. La voce e l’oblio (Arcana, pagg 139, euro 14), un aperto tributo a uno dei suoi eroi. Qualcuno storcerà il naso, lamentando il fatto che un critico non possa permettersi condizionamenti emotivi, sostenendo che, in quel ruolo, non ci si debba allontanare da una fredda, assoluta equanimità. Invece, la consapevolezza di trovarsi di fronte a un atto d’amore non ne sminuisce minimamente la validità critica. Lo dico, forse, perché nemmeno al sottoscritto piace nascondere le proprie pulsioni. Insomma, i propositi espressi fin dalla prima pagina del libro di Eleonora Bagarotti finiscono per essere una sorta di pietra di Rosetta attraverso cui cogliere le sfumature di una carriera, quella di Tom Waits, che ha avuto i suoi alti e bassi. E chi meglio di una donna avrebbe potuto scavare tra le pieghe di una personalità come quella di Tom che, da talento creativo qual è, non si è sottratto al topos dell’artista alla ricerca di una musa? Insomma, l’autrice coglie splendidamente i chiaroscuri e i riflessi della storia d’amore non convenzionale tra Tom e quell’altro talento cristallino di Ricky Lee Jones, per poi spiegare benissimo come mai Waits se ne sia prudentemente distaccato e abbia trovato asilo nel porto sicuro di Kathleen, sua moglie e roccia da molti anni.

Grande fan dei Beatles e degli Who, di cui è pure stata addetta stampa, Eleonora Bagarotti ha da sempre un occhio di riguardo per quel cantautorato a stelle e strisce che, soprattutto tra la fine degli anni Settanta e quella degli anni Ottanta, ci ha regalato perle musicali di rara bellezza: Bruce Springsteen, naturalmente, ma pure John Mellencamp e, soprattutto, il compianto Tom Petty, autentico anello mancante di quella catena swingante che ha fatto da ponte tra le grandi band della “British invasion” e il rock ruspante a stelle e strisce. Ma Tom Waits dove si colloca in un contesto simile, un contesto che sembra aver dato vita a una stirpe in via d’estinzione, lui che si è cibato più delle parole e delle eccentricità di Jack Kerouac, William Burroughs, Flannery O’Connor ed Ernest Hemingway che della poetica di Bob Dylan e Duke Ellington? Lo chiediamo alla stessa Bagarotti.

 

Perché mancano libri su Tom Waits, da sempre un autore di culto?

Rispondo con due diversi punti di vista. L’esclamazione di un amico americano, che lavora nell’ambiente musicale e che mi ha detto, “Scrivi un libro su Tom Waits? Traducilo in inglese, così anch’io capirò quel che dice!”. Battute a parte, non è semplice ascoltare Tom Waits, intendo tutta la sua produzione, a parte i brani più melodici. In compenso, e questo è il secondo punto: l’Italia, che per i poeti ha sempre avuto fiuto, lo ha adorato e osannato. Il problema, oggi, è che un libro su Waits, per capirlo e riflettere sul suo ritiro ormai decennale, non vende quanto altri argomenti. Ci voleva un amico editore come Gianluca Testani di Arcana, che ama navigare controcorrente, per dirmi di sì.

Come mai Tom Waits, di certo non il prototipo del belloccio, affascina tanto l’universo femminile, a partire da Ricky Lee Jones?

Questo è un tasto molto femminile. Non so cos’abbia colpito Ricky Lee, ma avendo letto la sua autobiografia, so che con Waits c’è stata una grande passione – e, comunque, lui era belloccio! – e che avevano molte cose in comune, compreso l’amico Chuck E. Weiss. Del resto, quelli erano anni selvaggi… In quanto a me, l’ho sempre trovato affascinante, mi attrae moltissimo il suo “essere sghembo” nei movimenti, quel tenere la testa china, suonando il pianoforte quasi come fosse un suo prolungamento. Al conservatorio gli avrebbero subito corretto la postura. Ma ha ragione lui: bisogna essere un tutt’uno con lo strumento, in base alla propria fisicità. Soprattutto se non suoni Chopin.

Ho sempre avuto la sensazione che Tom sia stato un attore mancato, prestato alla musica. Quanta Hollywood c’è nella sua arte?

Vero, c’è tantissima Hollywood nella sua arte. Proprio qualche giorno fa, ho postato su Facebook una foto rara di lui da piccolo: suonava una fisarmonica-giocattolo cantando verso il cielo. Aveva riccioli biondi e il mood da superstar. Di sicuro, e ce lo ha dimostrato in molti film d’autore, buca lo schermo. E direi che è stata Hollywood a cercare Tom Waits, non viceversa. La bellezza del suo fascino è che lui ce l’ha, ma non ne è consapevole. È naturale, non forzato, e questo nel cinema è fondamentale. A parte i lavori con amici di lungo corso come Jim Jarmusch e Roberto Benigni, ci ha regalato dei camei indimenticabili. Penso, ad esempio, al reduce del Vietnam ne La Leggenda del Re Pescatore di Terry Gilliam, uno dei miei 5 film da portare sull’isola deserta.

So che può sembrare un paradosso, ma ho sempre pensato che Tom sia una sorta di linea continuativa rispetto a Elton John e Billie Joel. Che gliene pare?

Credo che lei possa riferirsi al repertorio del loro primo periodo, che adoro. E al fatto che tutti e tre siano pianisti cantautori, ma ciascuno possiede una personalità molto impattante. Se facessero parte di un sistema stellare della musica, direi che Tom è Sirio, Elton è Procione e Billy è Alcyone. 

Che c’è di unificante nelle due figure (quasi agli antipodi) di Tom e Bruce? A parte la canzone “Downtown Train”…

La direzione del loro sguardo. Tom e Bruce sono musicalmente diversi ma alla fine, nel privato, ognuno è un “family man”, con Springsteen che ha bisogno del palco come dell’ossigeno e Waits che centellina ogni partecipazione. Ma soprattutto, l’America che hanno raccontato e cantato – i loser, la descrizione di certe donne, dell’atto sessuale, dell’amore perduto – è la stessa. E direi che potremmo avvicinarli a tanti grandi romanzieri del Novecento.

Lyle Lovett è stato descritto agli inizi della carriera una sorta di Tom Waits del C&W. In effetti, io ci ritrovo molte radici comuni, oltre all’aspetto simile, al fascino esercitato sulle donne e a qualche comparsata cinematografica…

Sono d’accordo. Lyle Lovett mi è sempre piaciuto moltissimo al punto che, una volta, sono uscita con un tizio perché gli somigliava. L’ho anche visto in concerto e dal vivo sa il fatto suo. Diciamo che è arrivato dopo, se così si può dire.. Intendiamoci, non è una colpa, è un fatto temporale.

Nel suo libro, lei spesso paragona le copertine di Waits ai quadri di Hopper. Quanto è voluta la cosa?

La vera protagonista delle copertine di quasi tutti i primi album di Tom Waits è la notte. Persino il giornale di Heartattack and Vine è chiaramente stropicciato, con macchie di liquore che qualche fondo di bicchiere ci ha lasciato sopra, e magari quel giornale si trova sul bancone di un bar. E i bar di cui canta Tom Waits non sono quelli delle vie dello shopping delle grandi città, sono i bar delle solitudini, dei motel, dei silenzi, degli incontri tra personaggi smarriti che hanno in comune la notte. Tutto questo, incluso un certo utilizzo delle luci, si rifà a Edward Hopper ed è sicuramente una scelta consapevole. Devo anche dire che, per quanto riguarda invece le copertine degli ultimi album di Waits, chi lo ha fotografato meglio è stato il figlio di Bob Dylan, Jesse. Fantastico!

Tom Petty una volta dichiarò che, per scrivere cose interessanti, era bene avere la vita incasinata. Secondo lei, ora che Tom Waits ha una vita comune e una famiglia salda, non può più scrivere grandi cose?

Quanto do ragione a Tom Petty! Scherzo… anche se, discografie alla mano, per la maggior parte degli artisti è davvero così. Sappiamo che Tom Waits ha una famiglia solida, ma non conosciamo lo sforzo, la fatica e le incomprensioni che lo hanno portato a compiere quel tipo di scelta. Penso al fatto che abbia molto sofferto per l’abbandono del padre, ad esempio, e che quell’imprinting gli sia rimasto dentro come una ferita aperta. Da quell’esperienza, di sicuro sei in grado, anche da persona “risolta”, di riconoscere e raccontare il dolore del mondo. Lo noti anche fuori di te. Credo che fosse questo ad accomunare i due Tom. Questo e una vagonata di talento ciascuno, che se ci penso mi metto a saltare!

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