Marco Buttafuoco
Quello che J.L. Borges chiamava “il divino labirinto delle cause e degli effetti”, ci ha portato via, in questi ultimi giorni, due poeti autentici, due minimalisti che con pochi tratti di matita o con pochi accordi sapevano raccontare storie e sentimenti importanti, due capisaldi di una poetica minimalista e appassionata al tempo stesso, una poetica che sembra sempre più svanire in questi anni beceri e truculenti: Guillermo Mordillo e Joao Gilberto. E’ stata la prima associazione mentale che ho formulato ieri sera, una volta appreso della morte di quello che non vorrei definire solamente, con la solita formula sbrigativa, il padre della bossa nova. Come se i generi musicali, avessero padri, madri, atti di nascita e cerimonie di battesimo e non fossero invece, prevalentemente, l’emergere lento di materiali, memorie, storie personali e collettive stratificatesi nei tempi.
Tristi gli ultimi anni
Qualche dato di cronaca innanzitutto. Joao Gilberto è morto ieri, nella tarda sera italiana, a Rio de Janeiro, dove viveva da sessant’anni. Era nato a Juazeiro, nella regione di Bahia, il 6 luglio nel 1931. Le notizie sulla sua fine sono abbastanza tristi; le condizioni economiche non erano delle migliori e, recentemente, era stato interdetto dai familiari e dichiarato incapace di provvedere alla tutela dei suoi beni.
Protagonista della Bossa Nova con de Moraes e Jobim
La sua fama era legata a quel fenomeno musicale emerso in Brasile fra la fine degli anni cinquanta e la fine degli anni sessanta che prese il nome di bossa nova, un movimento artistico di cui Joao fu protagonista assieme a Vinicius de Moraes, poeta e diplomatico, e a Carlos Antonio Jobim. Un nuovo approccio al samba fu definito, una schematizzazione dell’immensa ricchezza ritmica del repertorio afro brasiliano. Comunemente si suole segnare l’atto di nascita del genere con l’uscita discografica del primo capolavoro bossanovista Chega de Saudade (1958) nel quale l’omonima canzone di Jobim, era cantata da Gilberto e da lui stesso accompagnata alla chitarra con uno stile che apparve subito come innovativo, inedito.
L’allure “pigra” e sensuale
A colpire era l’allure “pigra” e sensuale, minimalista, del canto, e del ritmo della chitarra. Un ritmo elastico, rilassato, meditabondo. Quella musica, anche ascoltata oggi, evoca la classica saudade lusitana, ma l’ammanta di colori africani, di stanchezze tropicali, di sensualità, di mal di luna. Qualcosa del genere si ritrova anche in molto jazz delle origini, anche se come ha scritto ieri sera il musicologo brasiliano Gianni Morelembaum Gualberto in un omaggio commosso al maestro, “Gilberto possedeva in modo supremo il balanço, che non è “o suíngue”, è uno swing reticente, sfuggente, agile e pigro e solo brasiliano, e che solo i brasiliani ancora oggi sanno dominare, scandire, scomporre, declinare in quell’ingannevole, raffinata e commovente semplicità”.
Non solo bossanovista
Parlare solo di Bossa Nova, senza citare l’immensa ricchezza della cultura musicale brasiliana, sarebbe però fermarsi molto in superficie. I bossanovisti non volevano certo liberarsi di quella stratificazione sonora che aveva dato vita a generi come il samba cancao, il choro, praticati prima del loro arrivo sulla scena e oggi tutt’altro che dimenticati nel Sub Continente. Non è questa la sede per scavare, nemmeno superficialmente, in quel vasto giacimento. Il lettore che volesse approfondire quel mondo, vasto e variegato come la Foresta Amazzonica, può guardare proficuamente il bel film di AKi Kaurismaki sul choro. Gli innovatori bossanovistiguardarono alla tradizione e a quanto avveniva intorno al loro. Guardarono al jazz e alla musica d’oltreoceano. A loro guardarono i “giovani turchi” della canzone brasiliana come Caetano Veloso e Chico Barque de Hollanda.
A dare fama internazionale alla bossa nova e a Joao in particolare furono i dischi incisi con Stan Getz. Musica raffinatissima, patinata, in cui la voce apparentemente flebile di Gilberto si impastava con il suono puro ed elegante del sassofonista. Dischi riuscitissimi e molto venduti, indubbiamente belli che però non danno, è un giudizio personale, per intero il senso della natura dell’arte di Joao.
Fra i tanti video postati ieri sera dai tanti fan addolorati prevaleva, almeno fra gli italiani, la cover di Estate di Bruno Martino. Pare che lo stesso compositore romano, ascoltandola avesse detto ”è meglio della mia”. Un pezzo cantato con un abbandono mai esangue, con una malinconia mai di maniera, in un italiano forse improbabile ma ricco di straniante malinconia. Altri hanno postato un Besame Mucho eseguito live a Buenos Aires insieme a Caetano. Pochi hanno usato i dischi con Stan Getz, per esprimere la loro commozione.
Cantore supremo e schivo
“Come nella società brasiliana moderna di cui fu cantore supremo e schivo, in Gilberto vi era tanto, vi era tutto, vi era il guizzo sardonico fra l’irascibile e il guascone, vi era il dramma latente e celato fra uno sfarinarsi continuo di chiaroscuri, vi era l’introspezione da hidalgo in fondo scettico delle passioni cui era comunque votato a cedere, vi era il distacco morbido e timido, quasi pudico, di chi teme di potersi abbandonare da un momento all’altro …”, appoggiato indolentemente a un senso del ritmo supremo e ondivago, elastico tirato in ogni direzione senza mai rompersi, apparentemente immobile come immobile, minuto, ingannevolmente gracile appariva il fisico di questo cantante che mormorava senza vibrato perché in realtà, al contrario dell’esuberante e cosmopolita Vinícius de Moraes, parlava a se stesso.” Così ancora Gianni Morelembaum Gualberto. Solo un brasiliano poteva descrivere tanto felicemente la saudade che viene dalla perdita di questo genio.
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