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I Creedence Clearwater Revival, antimilitaristi rock amati dal cinema

Un gran bel volume di Galli e Pedron incornicia la storia del gruppo californiano capitanato da John Fogerty e usato nei film di Oliver Stone e dei Coen

I Creedence Clearwater Revival, antimilitaristi rock amati dal cinema
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21 Febbraio 2019 - 21.39


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Rock Reynolds

Che nome strano, pensai, la prima volta che mi imbattei in un disco dei Creedence Clearwater Revival, la loro prima antologia, l’album doppio Chronicle Vol. 1, contenente più brani di successo di qualsiasi altro greatest hits mai pubblicato, Beatles a parte.
Dovevano essere stati in molti a farsi la stessa domanda, perché davvero quel nome era eccentrico, poco incline a essere snocciolato a mo’ di slogan, come piace sempre fare ai fan. Forse, una scelta azzardata per una band che, dal 1968 al 1972, produsse sette dischi in studio. Ma la storia, come sappiamo, ne ha sancito il successo. Ricordo che il mio insegnante di scuola guida era solito tenere le lezioni con la musica ad alto volume sullo stereo della sua automobile. Un mito per molti suoi allievi. Di certo, lo era per il sottoscritto, almeno dal momento in cui sentii i primi brani ruggenti, ritmati e melodici al tempo stesso, talmente trascinanti da spingermi a muovere il piedino, non certo la scelta più illuminata per un pilota alle prime armi, di quella band a me ignota. “Sono più forti dei Beatles”, diceva l’istruttore, orgoglioso della sua scelta artistica.

Il monumentale libro di Galli e Pedron
Non sapete chi sono i Creedence, come li chiamano tutti, lasciando perdere il chilometrico nome completo? Volete, appunto, conoscere l’origine di quel nome eccentrico? Sapete chi sono, ma vi piacerebbe un quadro organico dei loro inizi, dell’ascesa al successo, delle frizioni che portarono al loro prematuro scioglimento e delle alterne carriere soliste? Oggi, finalmente, c’è il libro che fa per voi, dopo decenni di inspiegabili assenze. A mia memoria, infatti, prima d’ora l’unico libro in italiano sui Creedence resta quello pubblicato da Antonio Lodetti nel lontano 1987. Born on the Bayou (Arcana, pagg 491, euro 25) di Maurizio Galli e Aldo Pedron colma questa lacuna. Si tratta di un’opera quasi monumentale che documenta tutte le fasi della breve vita della band e di quella ancora attiva del suo leader storico, quel dispotico John Fogerty che, forse più di chiunque altro, almeno fino all’avvento di Bruce Springsteen, ha saputo incarnare la figura del blue-collar rocker americano.

“Fortunate Son” contro gli slogan militareschi
Scoprirete che “Fortunate Son”, uno degli inni senza tempo della band, è stato concepito come una specie di protesta popolare contro gli slogan militareschi lanciati dal governo americano per infondere convinzione e coraggio in una generazione di ragazzi che proprio non ne voleva sapere di andare a fare la guerra in un paese lontano, di combattere contro un popolo che non gli aveva fatto nulla se non spaccarsi sulla scelta di sposare l’ideologia comunista o il capitalismo americano. “Non sono io, non sono io, io non sono uno fortunato.”
Il riff è uno dei più incisivi mai suonati da una chitarra elettrica e ha fatto la fortuna di svariati film che l’hanno inserito nella loro colonna sonora, in primis Platoon di Oliver Stone e Forrest Gump. Al focoso John Fogerty l’idea di morire per una guerra poco giusta se non del tutto sbagliata aveva suggerito quelle parole e quell’aggressività musicale e, molti anni dopo, quello stesso sentimento si sarebbe riverberato in una presa di posizione plateale, in occasione di un concerto poi diventato un disco live, salutando alcuni spettatori che non avevano accolto di buon grado le sue esternazioni contro la guerra in Iraq. C’è pure un’altra pellicola, di atmosfera certamente meno impegnativa, Il Grande Lebowski dei fratelli Coen, in cui il “Drugo” ha una vera e propria ossessione per la musica dei Creedence.

Un’anomalia californiana
Ma cos’avevano di tanto speciale questi Creedence? In fondo, erano un’assoluta anomalia californiana, essendo figli della Bay Area, la zona intorno a San Francisco, ed essendo balzati agli onori della cronaca con una musica e un atteggiamento che si rifacevano alla tradizione a stelle e strisce quando praticamente tutti i loro coetanei voltavano la schiena ai valori che si stringevano intorno alla Old Glory, la bandiera della federazione. I loro coetanei, dopo la celebrazione del funerale hippie del 1967, erano Grateful Dead, Carlos Santana, Janis Joplin, Quicksilver Messenger Service, Jefferson Airplane, solo per nominare i più noti.
Abiti e atteggiamenti da freak, perline colorate e caffettani, droghe psichedeliche, suite strumentali lunghe una facciata intera e dilatate dalle visioni indotte dagli acidi, sonorità mutuate dalla musica orientale: in questo elenco non c’è uno solo degli ingredienti che fecero dei Creedence un’officina di quarantacinque giri di successo e di LP di grande pregio. Canzoni di due, massimo tre minuti, una sezione ritmica swingante, una chitarra graffiante nel solco dei maestri rockabilly e blues, chitarristi come Scotty Moore, primo braccio destro di Elvis, Howlin’ Wolf, Dale Hawkins, liriche semplicissime e ‘salienti, camicie a scacchi e jeans. Nessuna concessione all’intellettualismo di certe band pretenziose dell’epoca.

Il successo italiano di una band tra alti e bassi
La fortuna internazionale dei Creedence ebbe pochi uguali. In Italia, dove le band americane non incontravano gli stessi favori dei gruppi inglesi, il successo dei Creedence è davvero strano da inquadrare: il pubblico italiano preferiva ai grandi gruppi statunitensi il rock duro di Led Zeppelin e Deep Purple o le atmosfere rarefatte e le melodie talvolta cerebrali di Pink Floyd, Genesis e Yes oppure il folkrock stralunato di Jethro Tull e Incredible String Band. Dunque, i Creedence spiccano come cigni neri, senza vantare il minimo slancio progressivo. O quasi.

Come tutte le grandi band che si rispettino, il continuum vitale è contraddistinto da alti e bassi. Nel caso dei Creedence, inizialmente un quartetto nato intorno ai fratelli Tom e John Fogerty, con gli amici della zona Stu Cook e Doug Clifford, i guai veri iniziarono quando il maggiore dei Fogerty scoprì di voler esercitare un ruolo più preponderante nella band e suo fratello John gli fece capire che i Creedence non erano una democrazia: senza sondaggi online su strane piattaforme al tempo inesistenti e senza se o ma. Preso coscienza del rifiuto ad abdicare un minimo dello strapotere assunto all’interno della band, Tom si stizzì e salutò i tre compagni che proseguirono come trio ancora per un paio d’anni, prima di giungere a un capolinea che stava scritto negli astri. Può essere interessante leggere le interviste a Cook e Clifford, che non hanno mezzi termini quando devono criticare certi atteggiamenti tirannici e ostinati del loro ex-bandleader John.

John Fogerty fu querelato per autoplagio
Si scoprono curiosità interessanti in questo libro di Galli e Pedron, per esempio che John Fogerty fu querelato per autoplagio dal suo ex-discografico per aver pubblicato il brano “The old man down the road”, a suo dire troppo simile a “Run through the jungle”, un atto di accusa contro l’eccessiva circolazione delle armi da fuoco in America. Forse, non aveva tutti i torti: fatto sta che John fu costretto a pagare parecchi soldi.

Il rock giorno per giorno: il libro di Staccanella
A chi avesse voglia di scoprire altre informazioni interessanti non solo sui Creedence ma anche su parecchi colleghi del periodo mi sento di consigliare anche un secondo interessante libro uscito da poco, Across the year (Paginauno, pagg 249, euro 19) di Davide Staccanella, che ha l’insolita prerogativa di analizzare lo spettro della grande musica internazionale attraverso le date del calendario: ogni giorno qualcosa di interessante. Per esempio, il 22 agosto 1970, data in cui Cosmo’s Factory, secondo alcuni il disco migliore di John Fogerty & C, raggiunse il primo posto delle classifiche.

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