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Venere in pelliccia: maestosi Sabrina Impacciatore e Walter Malosti

Un gioco contorto e complesso, suadente e scarnificante per l’anima, che si sviluppa nella più felice traduzione teatrale di leggerezza. [Margherita Sanna]

Venere in pelliccia: maestosi Sabrina Impacciatore e Walter Malosti
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22 Aprile 2016 - 14.57


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Di Margherita Sanna

“Oggi sono andata vedere uno spettacolo di Puro Teatro e sono ritornata a casa cambiata”. Potrei sintetizzare così lo spettacolo “Venere in Pelliccia” in scena al Teatro Massimo di Cagliari fino a domenica 24 aprile per la stagione di prosa del Cedac. Basterebbe.

Perché questo spettacolo è talmente pieno di senso, di vivacità, di bellezza, che qualunque parola io utilizzi non potrà mai descrivere ciò che è accaduto in scena; sarà sempre un impoverimento di ciò che è Venere in Pelliccia, recitato magistralmente da Sabrina Impacciatore e Walter Malosti (che firma anche la regia). La mise en scène è prodotta da Pierfrancesco Pisani / Parmaconcerti / Teatro di Dioniso in collaborazione con Infinito srl e Fondazione Teatro della Fortuna di Fano / AMAT. Non è la pedissequa trasposizione teatrale del romanzo “Venere in pelliccia” di Leopold von Sacher – Masoch del 1870, né è la perfetta riproduzione della pluripremiata opera teatrale scritta da David Ives (svariati Tony Award a Broadway), la “Venere in pelliccia” di Walter Malosti è un sottile, vivace, ritmato, esperimento metateatrale e metatestuale intorno al romanzo di Masoch. È raffinata e popolare allo stesso tempo. Nel gioco di potere di Severin e Wanda von Dunajew si intersecano Sabrina Impacciatore e Walter Malosti, la donna e l’uomo, l’artista e l’amante.

Posti su un piano inclinato che conferisce maggiore profondità al palcoscenico, i due attori attraverso la celeberrima narrazione del gioco di sottomissione e dominio del romanzo, irridono, destrutturano, la loro stessa vita artistica in una perfetta alternanza fra Severin personaggio e Malosti personaggio che interpreta sé stesso, e altrettanto per la Impacciatore. Un gioco contorto e complesso, suadente e scarnificante per l’anima, che si sviluppa nella più felice traduzione teatrale di leggerezza. Le scene e le luci di Nicolas Bovey, il suono di G.U.P. Alcaro, sottolineano eloquentemente i momenti narrativi, scandiscono pause e velocità, a partire dal gioco di faretti sul palco, o dalla musica che accompagnava i momenti in cui gli attori recitavano i personaggi creati da Masoch. Questa “Venere in pelliccia” è perfettamente a tempo, a fuoco, nel ritmo giusto, nella traduzione italiana che più si attanagliava a questo tipo di realtà sociale e culturale, perfino nel gioco linguistico del doppio linguaggio: popolare per la Wanda attrice un po’ svampita (ma poi si scoprirà essere crudelmente consapevole), e in quello colto, ottocentesco della Wanda di Masoch. Solo due attori del calibro di Walter Malosti e Sabrina Impacciatore potevano realizzare questo, e dopo di loro chiunque vorrà riprovare a portare in scena la “Venere in pelliccia” dovrà per forza fare i conti con uno spettacolo teatrale così composito e completo che può indiscutibilmente assurgere a modello.

Peccato purtroppo per quella piccola parte di pubblico borghese e perbenista che durante i saluti al mio “Brava” rivolto all’attrice si sono voltati stizziti, e che al terzo giro anziché omaggiare gli artisti con una standing ovation- come sarebbe stato giusto fare -hanno iniziato a defluire verso le uscite. Peccato, perché la grandezza artistica dei due attori avrebbe meritato una platea migliore. Ma per fortuna non sono stati tutti così. Lella Costa – che lei sì di arte e grandezza artistica se ne intende – fermata per un breve commento post spettacolo ha omaggiato la collega con queste parole: “Sabrina Impacciatore è stata bravissima, in grado di supportare tutti i toni. Veramente brava”. Perché la grandezza artistica quando -raramente – la si incontra bisogna saperla riconoscere e renderle onore, non facendosi ridicolmente ottundere dalla licenziosità del testo, che è solo un mezzo per raggiungere un fine, solo un’impalcatura per spiegare altro. Ma in fondo si sa, lo stesso rifiuto nell’arte significa che è arrivata a colpirti.

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