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Vasco Rossi si racconta: l'uomo e il rocker

L’artista si è confessato all’Auditorium davanti a un pubblico entusiasta. Dagli inizi difficili ai trionfi: 40 anni sul palco in una festa a Modena nel 2017.

Vasco Rossi si racconta: l'uomo e il rocker
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20 Aprile 2016 - 13.28


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di Francesco Troncarelli

Berretto d’ordinanza, occhiali da sole, giacca, maglietta e jeans, Vasco Rossi ha fatto il suo ingresso trionfale nella sala più capiente dell’Auditorium Parco della Musica di Roma alle 15 e 21 ed è stato subito delirio. Come ad uno dei suoi concerti. Cori da stadio, entusiasmo a mille, riprese coi telefonini, un copione già visto e prevedibile, che ha confermato però, se mai ce ne fosse bisogno, la sua popolarità, il suo carisma e soprattutto la passione dei fan nei suoi confronti.

E lui in due ore di intervista condotta dai giornalisti Ernesto Assante e Gino Castaldo, critici musicali espertissimi nel tirar fuori il meglio dai personaggi in questo tipo di incontri, li ha ripagati senza risparmiarsi con racconti di vita, storie di musica ed emozioni a base di rock. Uno spettacolo parlato che ha attraversato la carriera del Blasco dagli esordi ai giorni nostri, in cui si è spaziato dalle sue canzoni ai momenti particolari e personali che ha vissuto, come quelli legati alla sua malattia, che avevano fatto temere il peggio.

Un Komandante uomo oltre che artista insomma, con le sue debolezze e le sue virtù, i suoi sogni e le sue certezze, le sue sconfitte e le sue vittorie come fino ad ora non si era mai visto e che ha ancora tanta voglia di emozionare e soprattutto di essere “la voce di chi non ha voce”. Ecco quello che ha detto col suo linguaggio schietto e senza tanti fronzoli.

Il rock

“E’ un linguaggio espressivo che permettere comunicare emozioni forti, intense, è una grande forza di comunicazione. Le parole con la musica diventano una cosa che non ha uguali. Provare le stesse emozioni quando hai davanti cinquantamila persone è una cosa incredibile. Quando parte la musica ti sfoghi e ti confessi raccontando le cose più vere che non confesseresti neanche al tuo migliore amico. Quando scrivo le canzoni mi vengono fuori dal cuore, dall’inconscio, a volte io stesso mi dico, ma che stai dicendo Vasco. Ho puntato sempre sull’onestà e perciò il pubblico mi ha ripagato. Il mio impegno è sempre quello di fare sempre una cosa diversa, imitare non paga, non funziona, è questa la sfida, quando scrivo una canzone poi non so mai dove va a finire, a volte non finisce proprio, quando invece va bene è una specie di miracolo”.

I riferimenti

“Sono cresciuto con la musica degli anni Sessanta e soprattutto con i cantautori degli anni Settanta, ho cercato tramite loro di capire le cose. Guccini, De Gregori, il migliore anche adesso, De Andrè mi ha sconvolto la vita, lui era uno dei più profondi, potenti, ho un’affinità elettiva con lui. Quando ho ascoltato “Amico fragile” sono rimasto scioccato, allibito, ero io quell’amico. Elvis è stato il più bravo di tutti, bello, rock puro, una forza, ma mi sento più vicino a Mike Jagger, lui è lo sberleffo, la provocazione, il sesso subliminale, gioca con il pubblico, e ho cercato di farlo anche io, ma agli inizi non mi capivano e mi prendevano sul serio. Ho usato e uso il rock per provocare le coscienze. Se ci si addormenta è finita e così il popolo è facile da essere governato e indirizzato”.

Gli inizi

“Il primo concerto l’ho tenuto a Bologna a piazza Maggiore con il gruppo di Dalla, gli Stadio. Poi c’erano altri amici miei, anche uno che suonava le congas. Praticamente eravamo più noi sul palco che quelli che ci stavano a sentire. Non era facile farsi strada, andavamo a suonare alle feste dell’Unità in Emilia, mentre cantavo si sentivano gli annunci dagli altoparlanti in sottofondo “Si avvisa che le patatine sono finite allo stand numero 4”, questa era l’atmosfera. A Ventimiglia suonammo in una bocciofila, non c’era il palco, non c’era la corrente elettrica, tirammo fuori le chitarre acustiche. Quando finimmo, silenzio assoluto, nessuno ci battè le mani, nulla, il mio batterista allora fece una battuta che è rimasta storica per noi: “Gran succèss”. A Vicenza ci esibimmo dopo un comizio e dei ragazzi ci tiravano delle freccette mentre cantavamo, ci consideravano dei montanari. Fu una umiliazione pesantissima, il mio orgoglio fu veramente ferito e la rabbia che avevo dentro che mi ha sempre fatto muovere, aumentò. Col tempo però ho imparato a gestire queste situazioni e a superarle. In un’altra occasione infatti scesi dal palco continuando a cantare e presi per il collo uno che dalla prima fila mi diceva in continuazione –sei una merda- mentre ci esibivamo”.

Le canzoni

“Vita spericolata è la mia canzone più importante, Tullio Ferro mi portò la musica io l’ho ascoltata, riascoltata fino a sentirla mia e poi ho scritto il testo. Tullio è stato decisivo per la mia carriera, fa parte della mia storia, anche La noia e Splendida giornata sono nate dalla collaborazione con lui, da allora non ci siamo più lasciati. Prima di Ferro scrivevo testi e canzoni da solo ed ero considerato quello commerciale per Albachiara, nata di getto, una ragazza idealizzata. Era una provocazione parlare di masturbazione femminile. Siamo solo noi invece è nata dopo una figuraccia a un concerto a Tavullo, vicino casa, ero inciampato e caduto dal palco. Tornato a casa a Zocca, piangevo dalla rabbia, presi la chitarra e sfogai tutta la mia frustrazione. Mia madre mi diceva –sei solo te, guarda il figlio di quello, guarda il figlio di quell’altro, sei solo te che vivi così-, quella canzone è stata una risposta generazionale, non mi rompete, so’ cavarmela. Le canzoni non cambiano la testa, fanno il punto su quello che si sente, aiutano a sfogarci. Confessi una debolezza, un difetto e così non ci sente più soli. Ma stimolano anche sogni, del resto la realtà è brutta e cruda, le illusioni ci aiutano a vivere meglio”.

La malattia

“Dopo due o tre anni di attività molto intensa, poco dormire, sempre in attività, sono crollato. Non ero mai stato malato più di tre giorni e non ero mai stato all’ospedale. Nella vita ho sempre spinto molto su l’acceleratore. E a un certo punto sono morto. Sono rimasto 15 giorni con un dolore che non si può spiegare a un fianco. Sono andato all’ospedale e ci sono stato per 6 mesi. Ho scoperto un altro mondo, quello della sofferenza, gli infermieri che sono degli angeli. E siccome tutte le esperienze sono vita l’ho usata per togliermi anche qualche menata che avevo. Quelle che ti vengono quando stai troppo bene. Mi sono dato una bella ridimensionata”.

I social

“Ho scoperto la grande potenza del web e di Facebook in un momento particolare della mia vita, quando ero a casa e non potevo uscire. E’ una forma di comunicazione importantissima. E’ la più grande rivoluzione dopo l’invenzione del telefono, anche se succedono cose terribili. A volte bisogna disintossicarsi un po’. Prima di Facebook credevo che mi volessero tutti bene, poi una volta su Youtube trovai un commento violento contro di me sotto un video e ci rimasi male, poi ho riflettuto e ho detto, dietro la tastiera dici quello che pensi veramente, anche io se avessi voluto scrivere alcune cose a qualche collega mi sarei espresso in modo pesante”.

I 40 anni di carriera

“Ho cominciato nel ’77, ho fatto la gavetta, ho faticato per farmi conoscere, ma molti non mi capivano. Negli anni ’80 mi sputavano per la strada, dicevano che ero quello che aveva portato la droga ai ragazzini, un’ immagine che faceva schifo pure a me. Col tempo le cose sono cambiate ma per arrivare a quello che sono adesso ho dato tutto me stesso, trascurando affetti, situazioni, vita privata, mi sono concentrato sulla musica. Ho dato tutto. Il pubblico mi ha capito, si ritrova nelle mie parole perché sono già dentro di loro. Sono la voce di chi non ha voce. L’anno prossimo saranno quarant’anni di palco perciò ho deciso di fare un evento speciale per celebrare questo traguardo, organizzeremo un concerto al Modena Park e sarà una grande festa”.

L’incontro con Pannella

All’incontro pubblico è seguito poi un incontro privato ma dal grande valore umano. Accompagnato dal direttore del Tg5 Clemente Mimum, il Blasco si è recato a fare visita a Marco Pannella nella sua casa del centro storico romano. Lontano da taccuini e dalle telecamere in un’atmosfera conviviale, non si sa cosa siano detti con l’anziano e malato leader politico, ma è facile immaginarlo considerata la loro amicizia. All’uscita, aveva con sé un libro, “Sos Stato di diritto”, volume che raccoglie gli interventi pronunciati in occasione della conferenza internazionale per l’universalità dei diritti umani organizzata dai radicali lo scorso luglio al Senato.

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