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La casa (di riposo) del jazz

Stefano Torossi continua il suo racconto della vita culturale di Roma.

La casa (di riposo) del jazz
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21 Luglio 2014 - 16.57


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di Stefano Torossi Veneziani inquieti

I nostri antenati veneziani si saranno rigirati nella tomba lunedì 14 luglio a guardare Voyager, RaiDue: un servizio su Venezia condotto, anzi, trascinato faticosamente da Roberto Giacobbo.

Avanti e indietro per i saloni di Palazzo Ducale: sempre con il fiatone quando parla, che fa tanto Indiana Jones; implacabili primi piani di lui che sale le scale, ma anche del suo retro mentre le scende, invece di quello che gli spettatori vorrebbero vedere: quadri, panorami, architetture, e non le fatiche del conduttore. Giaccone inqualificabile (evidentemente tira il “look infagottato”, brutto ma tosto, comune ad altri presentatori sul campo: Angela junior e il non dimenticato Osvaldo Bevilacqua di Sereno Variabile), dizione a morire (l’ultima parola di ogni frase bisbigliata in modo da renderla incomprensibile) notizie generiche, vaghe e spesso sceme. Un prodotto di livello molto basso. Questo per dire che la divulgazione, che supponiamo sia il sacrosanto target di questo programma, deve senz’altro essere semplice, ma può anche essere intelligente e di buon gusto. Ah, riuscirci.

Il Ministero risparmia

Terapia presunta: diminuire le dosi fino a decesso del paziente, così si liberano i letti.
L’amico Giancarlo Rostirolli, presidente dell’Istituto di Bibliografia Musicale ci manda un paio di paginette contenenti la stupefacente cartella clinica delle sovvenzioni ministeriali.

Il Ministero dei Beni Culturali (art 8 legge N. 534) ha dato, nel 2011 come sostegno all’Istituto di cui sopra 2.000 euro, poi più niente. Lo stesso è successo alla Fondazione Pierluigi da Palestrina.
L’Istituto Italiano per la Storia della Musica (stesso articolo di legge) riceve la bizzarra cifra di 4.910 € per il 2011; 3.000 € per il 2012, e basta.
Ma è con la Fondazione Italiana per la Musica Antica che si ride di più: come contributo per la biblioteca, ecco 2.000 € nel 2010; 2.600 € nel 2011, poi si cala a 1.000 € nel 2012, e si precipita a 390 € nel 2013.
Meno male che in alto si è deciso di dare un taglio a queste faraoniche spese per la cultura, altrimenti chissà dove saremmo andati a finire.


La Casa (di riposo) del Jazz

Onore al merito: l’autore di questa irrispettosa ma calzante definizione di una gloriosa istituzione romana in agonia è il musicista Pasquale Innarella, che ce l’ha servita nel corso della Jazz Reunion ospitata dall’Eutropia Festival al Mattatoio, martedì 15.

Come tante altre volte l’assemblea degli artisti segue il copione standard di questo genere di riunioni: all’inizio saluti e manate sulle spalle fra colleghi, poi la sessione è aperta dall’artista preparato che espone il problema in modo pacato, articolato e comprensibile (il già citato Innarella), interrotto dopo non molto dall’artista concitato (nel nostro case, Ivano Nardi, batterista e, per sua stessa dichiarazione, diventato oggi fruttarolo) che a suon di “le chiacchiere stanno a zero”, “li mortacci loro” e altre colorite espressioni, comincia a creare quella confusione inevitabilmente destinata a degenerare in recriminazioni personali e ridicoli quanto inattuabili proclami barricadieri (“annamo a occupa’ la casa der jazz”, “annamo a da’ foco alla SIAE”).

Per fortuna sopravviene l’artista pratico (Guido Silipo, musicista e consulente aziendale) che riporta l’accento sulla realtà contingente: i soldi, dove stanno e come dirottarne un po’ nella direzione giusta. Poi, in mezzo alla nebbia sempre più fitta di interventi vociferanti e incasinati, talvolta riesce a emergere l’artista saggio (Luigi Onori, scrittore e critico musicale) col ricordare ai convenuti che fare le barricate significa stare fuori dalle istituzioni; se invece si vuole stare dentro, com’è opportuno, allora bisogna mediare.

Mentre la faccenda prosegue secondo partitura (improvvisazioni e free jazz), stuzzicati da un piacevole profumo di pollo alla cacciatora che esce dalle cucine lì vicino, ci allontaniamo per fare un giro in questo luogo tra il magico e il desolato che è l’abbandonato Mattatoio di Testaccio, ora destinato ad attività artistiche. È uno spazio immenso, con pochi capannoni restaurati e arredati. Ci sono ancora le carrucole e i recinti per il bestiame, tutti di ferro, che era all’epoca la novità dell’architettura industriale; i corridoi che le bestie seguivano per andare al macello, e le “stalle pel bestiame domito”, termine desueto, leggiadramente letterario per significare domato (d’altra parte si dice indomito, no?), cioè pronto per essere abbattuto. Da quel lato persiste un bell’afrore di stallatico: è la rimessa delle ultime carrozzelle della città con relativi cavalli.

Lo spazio nasce a fine ottocento nella peggiore periferia di Roma. Peggiore perché vicina ai magazzini, alla ferrovia, al fiume e a una discarica. Cent’anni dopo il tempo ha cambiato un po’ le cose. La ferrovia è ancora quella, non più a vapore, ma sempre rumorosa e lenta, ormai quasi un giocattolo, che quando passa sul ponte fa un bel frastuono da tamburo di latta; i magazzini sono diventati un moderno mercato coperto; il Tevere che lambisce il terzo lato è qui, senza i muraglioni, una specie di simpatica jungla casareccia piena di alberi (fra cui un albicocco con frutti squisiti) che protegge intatto l’unico segmento fluviale delle mura Aureliane, con una bella torre.

E la discarica è, sì, sempre una discarica, ma di duemila anni fa. E’ il monte Testaccio, un rilievo formato nel corso dei secoli dai frammenti delle anfore di olio e vino destinate ai banchetti imperiali, che si scaricavano al porto sottostante dalle navi in arrivo da Spagna e Tunisia. Contenitori di terracotta usa e getta, servivano solo per il trasporto via mare. Arrivati a terra, vino e olio venivano travasati e le anfore, inutilizzabili, rotte e ammucchiate fino a formare una vera e propria collina. Da spazzatura a monumento.

PS. Apprendiamo che nel finale dell’assemblea odierna, a cui, distratti da cocci e carrozzelle, non abbiamo assistito, è stata decisa una Grande Riunione alla Casa del Jazz il 30 luglio.

Naturalmente andremo, staremo più attenti, e racconteremo tutto.

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