'Lo Zar di vetro': Putin, l'orgoglio russo e la storia di un paese millenario | Giornale dello Spettacolo
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'Lo Zar di vetro': Putin, l'orgoglio russo e la storia di un paese millenario

Il volume di Stefano Caprio, 'Lo Zar di vetro. La Russia di Putin' non è una biografia di Putin. Il libro ricostruisce il suo lungo periodo di governo e il suo programma finalizzato in particolar modo a riportare la Russia all’orgoglio del suo passato.

'Lo Zar di vetro': Putin, l'orgoglio russo e la storia di un paese millenario
Lo Zar di Vetro
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4 Aprile 2022 - 15.00


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di Antonio Salvati

La guerra è spesso una grande livellatrice. una semplificatrice. Tutto sembra e si presenta come chiaro, di qua o di là, il torto da una parte e la ragione dell’altra. In realtà la guerra che contrappone Russia e Ucraina nasce e cresce su un tessuto complesso, su una trama complessa. Il volume di Stefano Caprio, Lo Zar di vetro. La Russia di Putin (Jaca Book 2021 pp. 304, € 20) fornisce alcuni tratti e alcuni elementi di questa complessità. Non si tratta di una biografia di Putin. Il libro ricostruisce il suo lungo periodo di governo e il suo programma finalizzato in particolar modo a riportare la Russia all’orgoglio del suo passato, interrompendo la sudditanza psicologica con l’Occidente Com’è noto, la figura di Putin, grigio e cinico čekista (da Čeka, il primo organo sovietico di polizia) si e impossessato del potere nel vuoto del post-comunismo e dopo pochi anni ha raggiunto l’Olimpo delle divinità nazionali, l’uomo della Provvidenza Eurasiatica, «una categoria storico-teologica accessibile solo all’anima russa». 

Per Caprio «Si potrebbe dire che la Russia di oggi cerca in ogni modo di essere la Russia di sempre. La riscoperta delle proprie radici e delle più grandi realizzazioni della sua storia millenaria è indubbiamente l’anima, e l’impegno, della Russia putiniana». Pertanto, il 2000, anno in cui il presidente attuale è stato ufficialmente insediato, «è insieme un anno zero e un anno mille: anno del nuovo inizio, e ritorno al Mille delle origini, un secondo mille per il secondo millennio del Paese dei vincitori e degli oppressi, dei dittatori e dei martiri, sempre alla ricerca di sé stesso nelle infinite distese in cui si muove la sua pur non numerosissima popolazione, cercando di proiettarsi sul mondo intero come il popolo eletto di un Terzo Testamento definitivo».

Il libro è prezioso perché analizza e ricostruisce i mille anni della storia russa, a partire dalla “data ufficiale” del Battesimo cristiano del 988. La Russia ha attraversato molte fasi convulse e molti cambiamenti radicali. In altri termini, inquadra la storia di Putin nelle diverse di questa lunga e complessa storia dell’anima russa.  La prima tappa è quella alto-medievale (secondo la cronologia russa) della “Rus’ di Kiev”, Paese quasi leggendario a cui si richiamano la Russia, l’Ucraina e la Bielorussia, coinvolgendo in parte anche altri Paesi dell’Europa centro-orientale. La Rus’ è esistita, secondo la datazione formale, dal 988 al 1380, anno della prima vittoria “moscovita” sui tartari. periodo è compreso il cosiddetto “giogo tartaro”, la dominazione dei Khan tataro-mongoli eredi di Gengis Khan, il “Khan degli Oceani”, che iniziò nel 1240 ed ebbe fine nel 1480 con il confronto dell’Ugra, già in periodo moscovita. Il senso di questa antica Rus’ «è la “comunione nella sofferenza”, il tentativo di mettere insieme le città disperse in un territorio che era, già allora, il più grande d’Europa, e di sopravvivere a invasioni e stermini di portata biblica, senza perdere la propria anima e la propria identità». 

La seconda Russia, tardo-medievale, fu la cosiddetta Moscovia, cioè la Russia di Mosca, il centro che crebbe approfittando della distruzione di tutti gli altri sotto i tartari nel XIV secolo, appropriandosi dell’eredità di Kiev e diventando il punto di riferimento della “Santa Russia”, esaltandosi anche come polo di significato universale, la “Terza Roma”. Dal 1380 si giunge in questa fase al 1703, quando fu edificata San Pietroburgo. In questi trecento anni ci furono momenti di gloria e di devastazione; al regno quasi infinito del primo zar Ivan il Terribile (nominato già alla nascita nel 1530, incoronato nel 1547, fino alla morte del 1584), seguì il secolo dei “Torbidi” seicenteschi, le guerre con la Polonia-Lituania, le rivolte dei Cosacchi (padri dei futuri ucraini), lo scisma tra il Patriarcato e l’Unione (la Terza Roma contro la Prima Roma) e quello tra i Vecchio-Credenti e gli Ortodossi filo-greci, le lotte intestine tra i nobili che portarono alla dinastia dei Romanov. 

La Russia moscovita – spiega l’autore – «ha creato tutti i grandi ideali a cui si ispira anche la Russia attuale: la vittoria sui nemici, gli eretici e gli immorali, la comunione universale o sobornost’, l’autocrazia eurasiatica e l’eredità apostolica e imperiale». “Impero” è il termine che definisce la terza fase della Russia, quella di San Pietroburgo, inventata da Pietro il Grande e durata fino alla Rivoluzione (1703-1917). Non più “zar” orientale, ma “imperatore” di stile occidentale: il sogno di Pietro della modernizzazione e della occidentalizzazione del Paese. Il Paese si estendeva ormai per tutto il grande settentrione dell’Asia, caratterizzato governanti germanofili e francofili (la più forte fu la tedesca Caterina II, che si fece più russa dei russi), e soprattutto con il grande scontro tra Oriente e Occidente. La campagna napoleonica del 1812 costituisce forse la data più simbolica di tutta la storia russa: la più grande Vittoria sull’invasore, la salvezza dell’Europa e la riscoperta della propria identità, la samobytnost’ tante volte richiamata dallo stesso Putin negli ultimi anni. È la Russia che più di tutte ha ispirato la cultura mondiale: «il dibattito popolare-filosofico tra slavofili e occidentalisti, la grande letteratura del “Secolo d’Oro” da Puškin e Gogol’ a Dostoevskij, Tolstoj e Cechov, fino al rinascimento del “Secolo d’Argento” (fine Ottocento – inizio Novecento) di Solov’ëv, Florenskij e Berdjaev, ma anche dei rivoluzionari, dell’arte astratta, della musica dodecafonica e dei sognatori, che portarono alla più clamorosa delle metamorfosi». 

La rivoluzione del 1917 è senz’altro l’evento che più richiama la grandezza del popolo russo e delle sue trasformazioni. La figura di Stalin, il dittatore georgiano che s’impossessò del mito rivoluzionario e guidò il Paese dal 1924 al 1953, rievoca in varia misura quella dei grandi autocrati passati, da Ivan il Terribile a Pietro il Grande, e si lega inestricabilmente con un’altra grande Vittoria salvifica, quella del 1945 sulla Germania hitleriana, che oggi a settantacinque anni dall’ingresso a Berlino dell’Armata Rossa viene celebrata come l’evento-chiave di tutta la storia russa. Questa “quarta Russia” è nuovamente moscovita, ma comprende anche Kiev (l’Ucraina moderna nasce sotto i sovietici) e Leningrado, la Pietroburgo di Lenin, il profeta del nuovo vangelo rivoluzionario. È anche una Russia “mondiale”, l’Unione Sovietica delle quindici repubbliche russificate, della Guerra Fredda che controlla da Mosca metà del mondo, «dell’ideologia di una nuova sobornost’ non religiosa, o forse “diversamente religiosa”, la fede comunista dei “proletari di tutto il mondo, unitevi!”».

Questa seppur succinta rievocazione della storia russa è necessaria per meglio comprendere il ruolo centrale della storia nel “mondo russo”, definizione preferita dallo stesso Putin e dal patriarca di Mosca, Kirill, di un Paese che ancora sta cercando la sua nuova identità. Entrambi sottolineano che il periodo sovietico è stato molto più breve delle “Russie” plurisecolari che l’hanno preceduto, e ne prendono le distanze, anche se tutti gli attuali leader politici, religiosi ed economici sono di derivazione sovietica, per motivi anagrafici, sociali e semplicemente psicologici. La Russia di Putin vuole anzitutto ricucire lo strappo della fine dell’impero sovietico, che ha cancellato tutta la sua grandezza non solo geo-politica ed economica, ma anche ideologico-culturale. Indubbiamente, la transizione dall’ateismo militante alla rinnovata Ortodossia militante, la cosiddetta “rinascita religiosa”, è il fenomeno più significativo e contraddittorio dell’ultimo trentennio. In nessun Paese del mondo, è avvenuto un simile fenomeno di perdita e riacquisto della fede. L’Unione Sovietica era quel mondo che voleva cancellare Dio dalla coscienza umana, e questo accentua il bisogno dei russi di oggi di dare un valore universale alla riscoperta della propria fede: un “mondo russo” religioso e salvifico. 

Questo spiega «l’assoluto bisogno di riconnettersi all’origine: la rinascita religiosa russa comincia proprio dalle solennità del Millennio del Battesimo della Rus’, che si celebrarono nel 1988 ancora in periodo sovietico, in piena perestrojka gorbacioviana. L’antica Rus’ bizantina rivive nel nuovo battesimo, la “Terza Roma” moscovita assume nuovamente la sua missione escatologica, l’Impero del “nuovo zar” riconnette il popolo con l’autocrate, la vittoria mondiale dei sovietici ispira il nuovo auspicato ruolo della Russia nel mondo globalizzato». Il volume è uscito prima dell’inizio del conflitto. Tuttavia, Per l’autore i russi hanno un problema originario della loro psicologia e della loro cultura, «quello dell’impossibilità di identificare il proprio territorio, il proprio spazio vitale. Sparsi su dimensioni troppo vaste, indifesi dalle aggressioni da ogni dove, più volte schiacciati e scacciati dalle invasioni e dalle migrazioni, i russi hanno un bisogno irrefrenabile di dare un nome alla propria patria, alla propria casa, alla propria anima. 

Kiev, Mosca, San Pietroburgo sono più che capitali di fasi storiche diverse, sono i titoli dell’autocoscienza, luoghi sintetici di epoche ed eventi apocalittici». Nell’incertezza e nella minaccia di una nuova dispersione, la cosiddetta “globalizzazione” di rito occidentale, i russi hanno infine trovato un nuovo nome della propria identità, spiega Carpio prima che iniziasse il conflitto. I russi vogliono gridare contro tutti, «contro i fratelli traditori (gli ucraini) e gli infedeli invasori (gli occidentali): Crimea, la Crimea nostra. Fu questo il grido di vittoria del presidente Putin al Cremlino e sulla piazza Rossa, il 18 marzo 2014, dopo l’esito positivo del referendum con cui gli abitanti della Crimea avevano approvato il “ricongiungimento” con la madre Russia: Krym Naš, La Crimea è nostra!». Significativamente Putin, in un incontro del 21 giugno 2017 con gli insegnanti, è incorso in una specie di lapsus rivelatore, affermando che «l’educazione al patriottismo è prioritaria rispetto alla trasmissione del sapere: noi non abbiamo e non possiamo avere altro ideale unificatore, che non sia il patriottismo. Questa è la nostra idea nazionale».

Quando si parla di patriottismo russo occorre considerare tutta la questione ecclesiale. E’ opportuno notare che il Patriarca di Mosca Kirill (Gundjaev) non era infatti presente all’adunata del Krym Naš!. Egli, infatti, non era d’accordo con l’invasione putiniana della Crimea e dell’Ucraina in generale, che va ben oltre i confini del patriottismo “ortodosso”. Kirill pur essendo stato fin dall’inizio, e rimane tutt’oggi, uno dei principali ispiratori e ideologi del regime putiniano, teme che il radicalismo aggressivo. Soprattutto temeva di perdere la parte ucraina della sua Chiesa, dando ai nazionalisti ucraini l’occasione per provocare uno scisma con il patriarcato di Mosca, come ha poi realizzato nel 2018 il presidente ucraino Petro Porošenko, provocando il ben piu grave scisma con il patriarcato ecumenico di Costantinopoli, che ha benedetto con il Tomos istitutivo la nuova Chiesa nazionale ucraina ortodossa. Kirill sapeva bene che l’Ucraina, più ancora della Crimea, è la vera “terra santa” della Chiesa russa, non solo per l’origine kievana, ma anche per la profonda religiosità del suo popolo, a differenza di quella da sempre piuttosto vaga e paganeggiante dei russi. La stragrande maggioranza delle vocazioni al sacerdozio nella Chiesa del patriarcato di Mosca – spiega l’autore – vengono dalle famiglie ucraine, anche nella Russia stessa; del resto, le vocazioni al sacerdozio (uxorato) ortodosso provengono quasi sempre dai figli dei sacerdoti stessi, e il popolo ucraino e fortemente attaccato all’istituzione familiare. Inoltre, «nel confronto tra le istituzioni ecclesiastiche in Russia e in Ucraina, ancora oggi, e evidente la quasi equivalenza delle due realtà, nonostante la Russia sia quasi tre volte più popolata (144 milioni contro 55 milioni), e infinitamente più estesa». 

Al 2019, il patriarcato di Mosca contava 382 vescovi, 314 eparchie, 972 monasteri e 38.649 chiese o parrocchie, con 40.514 sacerdoti in servizio pastorale, 5.883 monaci e 9.687 monache, fissando statisticamente il numero di fedeli in 80 milioni su 120 milioni di cittadini di etnia russa della Federazione. Da questi numeri vanno comunque scorporati quelli che si riferiscono alla parte ucraina del patriarcato di Mosca, difficili da precisare perché in continua fluttuazione a causa delle tensioni con gli altri ortodossi, consistenti di circa 12.00 parrocchie e varie decine di eparchie e monasteri, per oltre dieci milioni di fedeli stimati. I numeri della Chiesa ortodossa Ucraina autonoma, da poco riconosciuta (2018) sono piuttosto contenuti (45 diocesi, 77 monasteri, 7000 parrocchie circa e un numero imprecisato di sacerdoti), ma in Ucraina la situazione e piuttosto complessa, esistendo anche altre giurisdizioni ortodosse più o meno riconosciute, oltre alla Chiesa Greco-Cattolica ucraina, di rito identico a quelle ortodosse, che serve comunque tra i tre e i cinque milioni di fedeli.

Il 2 aprile scorso ha acutamente affermato lo scrittore Ferdinando Camon che in tutte le guerre capire il nemico è la condizione per la salvezza. In questo momento seve necessariamente il cessate il fuoco per iniziare le trattative di pace. Franco Venturini, purtroppo scomparso pochi giorni fa, era convinto che «c’è un aggressore e un aggredito», ma scriveva: «la Russia che rischia di perdere in Ucraina non va umiliata, va battuta con una pace degna». Le parole ferme e senza sterili asprezze di Draghi a Putin mostrano che non si cerca necessariamente la guerra quando si aiuta l’Ucraina e si sanziona la Russia. Lo sforzo pregevole dell’autore è quello di provare a capire questa alterità russa, che è un’alterità difficile. Solitamente fatichiamo ad accettare l’alterità di un tuo familiare, mentre quella dell’estraneo l’accetti così com’è. Ciò rispecchia il problema della comunicazione tra mondo occidentale e Russia. Le descrizioni contenute nel volume non giustificano le ragioni della dirigenza russa per la scelta di aggressione militare terribile ed ingiustificata, ma aiutano a capire le condizioni all’interno delle quali si poteva benissimo continuare a confrontarsi senza fare la guerra. In realtà, troppo spesso negli ultimi anni le relazioni diplomatiche sono state caratterizzate dall’illusione che l’unico modo di comunicare fossero i soldi, l’economia, fosse fare affari con i russi ma non entrare veramente in collegamento, in contatto con loro – diciamo – tra noi e loro e tra loro e noi. Insomma, questa, purtroppo, è la questione e naturalmente tutto questo fa parte del grande mondo che diventa sempre più autoreferenziale.

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