Max Nardari: “È bello tornare alla comicità classica, lontano dal politicamente corretto” | Giornale dello Spettacolo
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Max Nardari: “È bello tornare alla comicità classica, lontano dal politicamente corretto”

Il regista di “Diversamente” racconta come è nato questo suo film fatto di episodi surreali, ma vicini alla realtà

Max Nardari: “È bello tornare alla comicità classica, lontano dal politicamente corretto”
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11 Giugno 2021 - 15.19


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di Alessia de Antoniis

 

Diversamente”, di Max Nardari, è una commedia attuale. Un film intelligente che non è succube del nuovo politicamente corretto delle n-word, f-word e simili, che trasformano una conversazione in un gioco di società mal riuscito.

è una commedia dove la risata è il mezzo, non il fine. Una commedia dove la battuta viene usata per cambiare la situazione, per portare lo spettatore ad avere una mente diversa.

La bravura di Nardari è quella di tornare alla comicità classica, dove il comico gioca sulle paure, sugli stereotipi, sulla falsa moralità, usando un linguaggio politicamente scorretto per provare il contrario. Per arrivare a dire “tu sei omofobo, tu sei razzista”  – racconta Max Nardari durante la nostra intervista – ho dovuto raccontare come ci comportiamo in tante situazioni”.

Nasce così “Diversamente”, una raccolta di storie che rappresentano un confronto continuo sul tema della diversità, in esclusiva su Chili, distribuito da 102 Distribution. Nel cast anche Alessandro Borghi, Elisabetta Ferracini, Fioretta Mari, Denny Mendez e Giancarlo Magalli.

 

Max, Diversamente ha una genesi curiosa…

Il film nasce alcuni anni fa dal corto con Alessandro Borghi e Giorgia Wurth, l’episodio numero due. Si chiamava “Lui e l’altro” e vede la contrapposizione tra un ragazzo gay (Ivan Bacchi) ed un etero omofobo “troppo etero” (Alessandro Borghi) che si ritrovano ad essere coinquilini. Parlava di omofobia in maniera ironica e di convivenza.

Ho poi deciso di raccontare altre storie di convivenze forzate. Surreali, ma vicino alla realtà. Cose che possono accadere, ma in un modo un po’ estremizzato, perché vengo dalla commedia di Almodovar. Amo la commedia agrodolce. Ho quindi pensato di raccontare un altro episodio che era “Lei e l’altra”: parlava della fuga di cervelli, di raccomandazioni politiche e di solidarietà femminile. Nel primo episodio raccontavo la convivenza di due uomini, nel secondo di due donne. Non trattando, però, il tema dell’omofobia, che sarebbe stato scontato. Mi ha divertito chiamarlo “Lei e l’altra”, perché tutti hanno pensato che fosse sull’omosessualità, visto che il primo lo era. Protagoniste sono una ricercatrice universitaria (Claudia Zanella), che  guadagna 800 euro al mese e non riesce a sbarcare il lunario, e una nota vincitrice di un reality (Michela Andreozzi) che guadagna 800 euro al minuto. Di fatto parla della mancanza di meritocrazia che c’è in Italia.

Questi due episodi mi hanno spinto a fare gli altri.

Nel terzo episodio (Noi e gli altri) una giovane coppia scopre di essere andata ad abitare in un condominio di soli extracomunitari. Nel quarto episodio (L’amore non ha religione) si affronta il tema del dialogo interreligioso, vedendo in contrapposizione due famiglie, una musulmana e una cattolica (capeggiate rispettivamente da Mohamed Zouaoui ed Elisabetta Pellini). Il quinto episodio (Uno di noi) infine, racconta di una coppia (Simone Montedoro e Euridice Axen) che dopo essere riuscita con fatica ad avere un bambino in affidamento provvisorio, scopre che il bambino è di colore.

Quello con Simone Montedoro e Euridice Axen che chiude la serie, è il più tenero, delicato, meno comico: in contrasto con i  primi che sono più dissacranti. Ho cambiato registro.

Uno di questi episodi diventerà il  mio prossimo film. Lui e l’altro, quello sull’omofobia è già in fase di scrittura. Non ci sarà Alessandro Borghi, ma ho già individuato il protagonista. Siamo in trattativa.

Il bello di questi episodi è che hanno un arco narrativo completo e tutti gli elementi ben delineati. Non sono frammenti. La mia cifra artistica è questa: raccontare un film nei tempi di un corto.

 

Come hai fatto, con la battaglia in atto del politicamente corretto a tutti i costi, a produrre un film politicamente scorretto e a fare comicità senza rimanere intrappolato nell’uso di parole come N-word, F-word, o simili locuzioni che ormai rendono impossibile parlare?

Ci sono commedie degli anni Ottanta che sono davvero volgari. Battute dove parole come frocio o finocchio sono ripetute in continuazione: a volte sono pesanti. Si può fare una commedia più elegante. Quello che mi preoccupa è che rischiamo di peggiorare la situazione dal lato opposto, anche perché non è che se elimino certe frasi la commedia diventa più raffinata. Se guardiamo commedie francesi come “Non sposate le mie figlie”, sono dei capolavori. Sono commedie intelligenti, giocate non sulla battuta becera, ma sulle situazioni. La vera commedia è quella che gioca sulle situazioni. Sono quelle che fanno ridere.

Nel primo episodio ho caratterizzato un personaggio per sottolineare in maniera immediata che era gay. All’inizio, come faccio a far dire frocio a uno che si affaccia al balcone se lo vesto in giacca e cravatta? La scena non avrebbe avuto senso. Ho dovuto utilizzare degli stereotipi politicamente scorretti per poter arrivare a tutti.

Speriamo che questo modo di esprimersi non vada avanti o il mio sarà uno degli ultimi film della commedia italiana. Mi auguro che questo film faccia riflettere e sorridere.

 

Un film fatto di corti raggiunge meglio un pubblico giovane, abituato alle storie brevi tipiche dei social?

Dipende. Sicuramente un altro aiuto arriva dalla distribuzione sulle piattaforme come Chili, Amazon o Netflix. I corti in sala, anche quando ci arrivano, hanno vita breve. In un’epoca fast food, credo che il connubio corto-piattaforma possa essere vincente. Il progetto che ho realizzato con Diversamente è stato quello di unire insieme corti diversi su una tematica che li accomuna: hanno un potenziale maggiore di quello che avrebbero singolarmente. È un progetto che ho studiato con attenzione.

 

Sei un regista premiato alla Mostra del cinema di Venezia, ma sei anche un musicista…

Sono un musicista cantautore. Nasco come autore. 

Come autore o regista di videoclip ho lavorato con Raf, Fabrizio Moro, Arianna, Andrea Mirò, Simonetta Spiri. Sono anche il regista dell’ultimo video di Luisa Corna, che uscirà a breve.Ho lasciato quando non ho avuto successo a Sanremo. La colonna sonora del corto sull’omofobia è mia. Sono tornato a fare musica perché quasi tutti gli attori italiani fanno i registi. Ma se gli attori fanno i registi, perché io, regista, non posso fare il cantautore? Se sei un attore e diventi regista, è ovvio che hai un parterre di colleghi da contattare: Giallini, la Gerini… Un attore che si presenta come regista è privilegiato, anche se non ha mai toccato una telecamera in vita sua. Ho visto che non avevo problemi a tornare a cantare in prima persona e ho realizzato, collaborando con altri artisti, la colonna sonora del film. Si chiama Diversamente e si trova in tutti gli store digitali, come Spotify. In “I need you”, non mi vedi nei panni di regista: sono sdraiato su un disco d’oro. È una cosa pop che un regista con già tre film al suo attivo non farebbe mai. Invece io mi sono divertito.

La scorsa settimana, con “Fragile”, che parla di Covid e il cui video è girato in 3D, abbiamo vinto il Premio COndiVIDiamo Diversità #SocialClip al Festival Internazionale del Film Corto Tulipani di Seta Nera promosso da RaiCinema   

 

Hai prodotto Diversamente. Quindi: regista, cantautore e produttore…

Sono una persona che ha deciso di essere indipendente. Ho avuto un’esperienza negativa con una produzione italo-russa e da allora ho deciso di produrre i miei film. Con grande fatica sono riuscito a costruire la mia casa di produzione indipendente, affronto il problema del reperire i finanziamenti, ma ho il pieno controllo del mio lavoro. Meno ansie e preoccupazioni e quindi meno rughe (ridiamo). Ci tengo che i miei lavori non vengano snaturati. Per questo preferisco produrli da solo.

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