I legami tra cinema e letteratura sono molteplici, a più livelli intrecciati. Trattandosi di mezzi espressivi così diversi questa sorta di parentela parrebbe strana, ma ad uno sguardo ravvicinato gli elementi in comune appaiono con evidenza: in effetti, tra le due arti c’è sempre stato un reciproco ammiccare.
Se, al suo sorgere e per diversi anni, il cinema ha guardato con assoluto rispetto all’arte letteraria, antica di millenni, come si conviene ad un giovincello pieno di timore reverenziale per un uomo anziano e saggio, ben presto le cose cambiarono. Già dagli anni Trenta del secolo passato gli scrittori – in particolare americani –, affascinati e intrigati dal nuovo mezzo artistico, cominciarono a sperimentare ed elaborare tecniche narrative di chiara matrice cinematografica. Il fenomeno non si circoscriveva ad autori prettamente di genere, ma ne coinvolgeva anche di grandi – valga per tutti il caso di Hemingway.
Questi esperimenti, che tendevano verso un comune terreno di rappresentazione, furono vicendevolmente proficui: cinema e letteratura ne uscirono rinvigoriti, il primo assumendo forza espressiva e maturità, maggiore profondità di caratterizzazione dei personaggi e trame di più ampio respiro, la seconda guadagnando rinnovati sguardi sul reale e svecchiando certi moduli narrativi non più in grado di rendere i cambiamenti che stavano stravolgendo culture e società.
Poiché oggi è pacifico che queste due arti si compenetrino in alto grado, proveremo a fare un giochino, suggerendo a qualche regista o produttore volenteroso alcune opere letterarie apparse di recente che, per caratteristiche intrinseche, taglio narrativo e suggestioni, ben si adatterebbero ad essere trasposte su pellicola.
Un primo esempio è Broken (HarperCollins, pp. 544, 19€), di Don Winslow, scrittore americano di gran talento, giunto ormai a conchiusa maturità, al di là del genere crime che solitamente frequenta. Le sei novelle che compongono il libro, immagine prismastica dell’oltremodo “spezzata” realtà statunitense contemporanea, sarebbero perfette per una serie televisiva. Winslow ha uno stile “naturalmente” cinematografico, con una prosa lucida e asciutta, venata da una gradevolissima ironia, dialoghi incisivi e frizzanti, trame piene di azione e di temi eterni – corruzione e vendetta, perdita e tradimento, colpa e redenzione –, personaggi molto espressivi tratteggiati in pochi e sapidi tratti. Nelle sei parti ne ricorrono alcuni, tra i quali spicca il detective Lou Lubesnick, la cui vicenda biografica e l’intrigante personalità, rivelate col procedere della narrazione, si presterebbero ad una caratterizzazione filmica, magari affidandone il ruolo ad un attore iconico. Le storie narrate sono già quasi delle sceneggiature, con qualche tocco sarebbero pronte ad essere girate: l’immagine dell’America che uscirebbe da un’ipotetica trasposizione cinematografica sarebbe di grande impatto, il prodotto finale godibile e avvincente.
Un altro romanzo che ci piacerebbe vedere trasposto in un film è Caccia alle ombre, di Herbert Lieberman (minimum fax, pp.515, 20€). Notevole esempio di detective fiction, il libro ha per protagonista un anatomo-patologo, Konig, e Mooney, attempato ma sempre brillante investigatore: già solo le differenze di personalità tra i due (misogino e asociale il primo, che si porta dentro un terribile lutto famigliare, neosposo e amante dell’ippica e del buon cibo il secondo) conferiscono spessore alla trama, un intricato caso che vede in competizione ben due serial killer, uno emulo dell’altro. Un grande regista saprebbe valorizzare questo intrigante gioco di specchi, i continui scambi di ruolo tra criminali e vittime, la realtà sempre confusa e in divenire delle vicende narrate, il tema della caccia nella caccia, sullo sfondo della schizofrenica New York degli anni Ottanta, vera protagonista di questo affascinante noir.
Attingendo poi dalla produzione nostrana, vedremmo volentieri sul grande schermo un originale romanzo di Claudio Morandini, Gli oscillanti (Bompiani, pp.256, 17€). La scena, dopo un claustrofobico viaggio tra tornanti e gallerie, è quella di una valle montana, non certo turistica, dove la protagonista del racconto, una giovane etnomusicologa che intende condurre una ricerca sull’antico fenomeno dei canti notturni con cui i pastori dialogano misteriosamente da una montagna all’altra, viene accolta dalle maschere spaventose con cui gli abitanti d’un villaggio sempre in ombra (un’ombra che finisce per invadere la mente) accolgono i forestieri. Tale paese, Crottarda, è in feroce lotta con Autelor, il villaggio dirimpettaio baciato dal sole. La conformazione dei luoghi è specchio del temperamento degli abitanti: scorbutici e depressi gli abitanti del primo, allegri ed espansivi quelli del secondo, sempre in bruta competizione tra loro. Anche questa vicenda ha luogo negli anni Ottanta, pur apparendo sospesa, fuori dal tempo, in un immutabile ripetersi delle stagioni. L’oscillazione del titolo è quella dello sguardo della protagonista: esistono davvero degli insondabili misteri a Crottarda o sono solo il frutto della sua immaginazione? Per questa storia servirebbe un regista di spessore, magari un Pupi Avati, in grado di rendere un’atmosfera di commedia grottesca, virata su un realismo deformante, mista a un certo gotico, che pare alludere al lynchiano Twin Peaks. Ma l’obiettivo di Morandini è certo la nostra Italietta, litigiosa e scissa, divisa in conventicole e in meschini calcoli da strapaese: a saperlo volgere in sceneggiatura e girare sarebbe un gran film, parecchio originale, come le storie narrate da Morandini.
Questi sono solo alcuni esempi tra i tanti, di ottimi romanzi filmabili l’universo cartaceo è pieno: serve solo un occhio accorto, abilità, coraggio e, certo, investimenti. Attendiamo dunque trepidanti i prossimi connubi tra queste due straordinarie arti – cinema e letteratura.