'Notturno' di Gianfranco Rosi, il fantasma della guerra che c'è ma non viene mostrata | Giornale dello Spettacolo
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'Notturno' di Gianfranco Rosi, il fantasma della guerra che c'è ma non viene mostrata

Ogni silenzio in questo film è differente e permette di sentire non con le sole orecchie l'eco della guerra, perchè è appena passata o sta per arrivare. Non si sa.

'Notturno' di Gianfranco Rosi, il fantasma della guerra che c'è ma non viene mostrata
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16 Settembre 2020 - 21.54


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di Chiara D’Ambros 

Dopo aver visto Notturno si esce dal cinema con sensazioni differenti, scomposte. Una di queste è la gratitudine, per essere stati portati in quei luoghi dimenticati, in quei confini senza i tempi dei film d’azione, senza eroismo, nè pietismo.

Notturno fa spazio. Attraverso le immagini lascia spazio al sonoro reale di luoghi sospesi tra un passato di distruzione e un presente appeso alla povertà, alla paura, al dolore, un futuro precluso. Ogni silenzio in questo film è differente e permette di sentire non con le sole orecchie l’eco della guerra, perchè è appena passata o sta per arrivare. Non si sa. Incertezza e sospensione di tempo e vite. Chi dice che la guerra in questo film non si vede, come fa a dirlo?

E’ stato criticato per la sua estetica, perchè “estetizza” il dolore. Anche questo è molto discutibile e fa riflettere su come guardiamo e cosa guardiamo. Le immagini sono pulite, le luci ricercate ma mostrano fango, deserto, divise, mezzi blindati, uomini e donne armate, stanze con materassi a terra, spogliete di tutto, dove si dorme tutti assieme che siano le guerrigliere o i figli di una numerosa famiglia. Non c’è nessuna traccia di estetismo, piuttosto di attenzione e cura. Coglie nella sua nitidezza la bellezza di alcune luci che all’imbrunire l’occhio umano percepisce in qualsiasi zona della terra. Rosi ci permette di vederla anche in quell’area del mondo così inaccessibile, da decenni, così tormentata, è un provilegio.

Attraverso la nitidezza e sì, anche meraviglia delle immagini, delle luci del giorno che si fa sera e della notte, diventa ancora più graffiante la miseria e il destino martoriato di quelle terre e degli uomini, delle donne e dei bambini che le abitano.

Attraverso il visibile, Rosi ci mostra, o in qualche modo fa arrivare, l’invisibile, un’interiorità inaccessibile, forse indicibile non perchè non si possa dire ma perchè non è verbalizzabile in nessuna lingua.

A volte si sente la telecamera, soprattutto nelle stanze, nel caso della stanza di una famiglia che si prepara per la notte, quasi fosse al posto di un televisore spento messo nell’angolo in alto, invece è un occhio acceso su qualcosa che succede ogni sera. Nel caso della “stanza dei disegni”, la telecamera, diventa occhio e orecchio, ma anche cuore o mani aperte ad accogliere le parole di chi ha visto l’orrore. In quel caso siamo in pieno giorno, la notte ha invaso l’anima dei bambini che parlano, ogni parola, ogni soffio fa usciere un po’ di quel buio che ha devastato l’infaniza e forse per sempre l’intera esistenza, di chi ha la forza di nominare l’indicibile – questa volta sì nel senso di qualcosa per cui ci sono le parole ma fa troppo male pronunciarle. La scena diventa uno spazio di possibilità, in cui i bambini arrivano a parlare delle loro esperienza per necessità di raccontare per liberarsi anche di un solo soffio di orrore e alleviare la pressione che continua a invadere e storpiare la vita.

Una scena è ambientata in una prigione. E’ un’opera d’arte dal punto di vista dell’immagine, ma va ben oltre l’estetica. Non è indicato da nessuna parte chi siano i prigionieri. Vedi uomini come formiche arancioni uscire in uno cortile recintato, per qualche minuto d’aria, guardie come statue armate ai lati, poi corpi rientrare in cella e ammassarsi l’uno sull’altro. Guardando ti arriva la sensazione della comprensione una condizione, oltre il giudizio. In questo c’è una verità spiazzante, non mediata, di comprensione non razionale, non solo razionale, che va al di là del fatto che quei prigionieri siano dei militanti dell’ISIS.

Indelebile rimane lo sguardo cresciuto troppo presto di un bambino che mantiene l’intera famiglia. Il padre come in ogni tempo di guerra non c’è.

L’intensità delle immagini di Notturno, permette loro di restare con lo spettatore ben oltre il tempo del film e la narrativa che definirei “a maglie larghe”, non necessariamente lineare, può ricomporsi in vari modi, nella memoria di ciascuno nei giorni successivi la visione. Le scene attaversate, come oggetti galleggianti emergono da dentro singolarmente o una dopo l’altra, o in gruppo e destano una consapevolezza che non puoi scansare più, di un altrove che oggi vive faccia a faccia con la guerra, sulla soglia della ferocia, della miseria, di un’incertezza spietata, giorno e notte.

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