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Barbara Chichiarelli: «Dopo “Suburra e la “Dea fortuna” vorrei dar voce a chi ha handicap»

L’attrice parla del suo mestiere, di Özpetek, dei suoi personaggi a partire da Livia nella serie che l’ha lanciata

Barbara Chichiarelli: «Dopo “Suburra e la “Dea fortuna” vorrei dar voce a chi ha handicap»
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18 Gennaio 2020 - 15.01


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Da Wondernet Mag riceviamo e pubblichiamo questa intervista all’attrice Barbara Chichiarelli (qui il link al testo del magazine).

Anna Chiara Delle Donne

Barbara Chichiarelli ha raggiunto un’enorme popolarità con “Suburra – La Serie”, dove interpreta Livia Adami, la sorella di Aureliano alias Alessandro Borghi. Ora è al cinema ne “La Dea Fortuna” di Ferzan Özpetek

Alle spalle Barbara Chichiarelli ha una lunga gavetta teatrale. Recentemente l’abbiamo vista al cinema nel film “Un’avventura” di Marco Danieli con Michele Riondino e Laura Chiatti, e nel ruolo dell’infermiera che si prende cura di Jasmine Trinca ne “La Dea Fortuna” di Ferzan Özpetek

Barbara Chichiarelli assomiglia ad una scatola cinese, con all’interno migliaia di donne da interpretare, con colori e sfumature distinte e vere. In ogni ruolo che interpreta, Barbara riesce come un camaleonte a cambiare volto, sguardo, colori. Diventa ogni volta un’altra, anche fisicamente, mostrando un’altra piccola parte, sconosciuta e diversa, di sé stessa. Può accadere di non riconoscerla immediatamente, al primo impatto. Nel personaggio de “La Dea Fortuna” di Ferzan Özpetek è molto diversa da come la ricordavamo nel ruolo intriso di pathos di Livia Adami in “Suburra – La serie”, oppure nella vivacità di colore di Veronica in “Un’avventura” di Marco Danieli.

Sei al cinema con “ La Dea fortuna”. Come descriveresti il personaggio che interpreti?
Sono contenta di aver preso parte a questo progetto, a cui tenevo tanto. “La Dea fortuna” tratta di temi attualissimi. Sono riuscita ad interpretare un’infermiera che può capitare di incontrare molto spesso, nella vita, in un ospedale. La mia è una donna disillusa, che lavora in una struttura pubblica, dove inevitabilmente è sempre a contatto con il dolore. Sa difendersi, e al tempo stesso riesce ad essere una persona dolce e premurosa che ama il suo lavoro, senza prenderlo troppo sul serio. La vita in un ospedale non è semplice, le infermiere devono mandare giù tanti bocconi amari e vivono ogni giorno la sofferenza umana. Questo personaggio porta, all’interno della storia, positività, energia, leggerezza.

Che opinione ti sei fatta su Özpetek come artista e come persona?
Ciò che mi ha colpita di Ferzan è la sua autoironia, che trovo sia uno stato di grazia rara in un essere umano. Sul set ha saputo creare un clima di grande armonia. È stato molto bello vederlo realizzare delle scene meravigliose. Come regista e come uomo, Özpetek riesce a dare tanta umanità agli attori, mettendoli a proprio agio.

Lasci alle spalle un anno ricco di esperienze belle e diverse, tra cinema, tv e teatro. Arrivata ad oggi, quali consapevolezze senti di aver ottenuto come attrice?
Credo di essere in un momento particolare della mia vita. Finalmente il mio lavoro sta prendendo una forma, mi sto definendo come persona. Credo di aver acquisito maggior consapevolezza di quella che può essere la mia recitazione attraverso la mia voce, la mia faccia, il mio corpo. Non mi sento arrivata. Sento di voler partire da qui, per potermi dire: «Ecco, voglio mettere più frecce possibili al mio arco». Finalmente ho capito come è fatto il mio arco! ( ride, ndr ). Ora inizia il lavoro più bello, più serio e più divertente: quello di comprendere le cose che mi riescono meglio e quelle che mi riescono peggio, per poi migliorarmi.

Di te colpisce la grande versatilità. Risulti, in ogni ruolo, sempre diversa e quasi irriconoscibile. Quanto è importante, per te, questa dote?
Trovo che sia una grande risorsa riuscire a “spostarsi” da sé. Non sempre è facile. Non sempre si è messi nelle condizioni adatte per riuscire ad interpretare personaggi diversi. Sono contenta dei ruoli ottenuti fino ad ora. Spero che continuino a propormi progetti nei quali io possa sperimentare cose nuove e dar voce a parti di me che ancora non hanno avuto modo di emergere. Vorrei interpretare ruoli sempre più audaci.

Hai pensato a quale donna ti piacerebbe interpretare?
Vorrei poter approfondire il tema della fragilità, che può essere declinato in vari modi. Mi piacerebbe ad esempio dare voce a persone con handicap fisici e mentali. Associo alla fragilità un lavoro di sottrazione che ti porta a raccontare un personaggio attraverso piccoli gesti, piccole parole. Devi fare un lavoro molto più fisico, più emotivo.

Il pubblico ti ha amata nei panni di Livia nella serie “ Suburra”. Cosa ti resta di un personaggio del genere, a livello emotivo ed umano?
Livia è il mio primo amore e non lo dimenticherò mai. Grazie a lei e alla magia della recitazione, ho fatto pace con una parte di me che non era mai emersa e che finalmente ha avuto uno sfogo. Livia mi ha aiutata a far uscire fuori quel rancore, quella rabbia e quel dolore che avevo dentro. Un personaggio del genere è mosso da un dolore talmente profondo che poi diviene rabbia.

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