Paolo Villaggio, Fantozzi: il genio e la poliedricità | Giornale dello Spettacolo
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Paolo Villaggio, Fantozzi: il genio e la poliedricità

In Italia anche fra mille anni nessuno ti dimenticherà perché tu sei la Storia e la Storia non si dimentica.

Paolo Villaggio, Fantozzi: il genio e la poliedricità
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Stefano Pignataro Modifica articolo

31 Dicembre 2018 - 11.44


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Fantozzi e la morte. Un binomio particolare, onirico. L’idea dell’aldilà, del fine vita, dello sbeffeggiamento ironico ed intelligente, ma mai volgare verso tutto ciò che è mistico, è sempre stata una costante nella comicità di Paolo Villaggio ed in tutta la saga fantozziana, dai primi film cult ed ormai capolavori di Luciano Salce ai sequel non meno importanti (anzi, per me fondamentali) di Neri Parenti. Il celebre ragioniere morirà nell’ottavo capitolo della saga realizzato nel 1993, “Fantozzi in Paradiso” e con suo grande stupore anziché del “Signor San Pietro” troverà Buddha che apposta ha fatto dirottare dai suoi missionari gli aerei verso il Paradiso per vendicarsi dei Missionari cattolici che dirottano, durante la vita terrena, “migliaia delle loro anime”.

Il ragionier Fantozzi, matricola 7829/ bis dell’Ufficio Sinistri dell’illustre Società ItalPetrolCemeTermoTessilFarmoMetalChimica, è realmente andato in Paradiso alle 6 di oggi 3 luglio 2017, consegnando definitivamente Paolo Villaggio e la sua creatura più geniale ed innovativa, assieme a quella di Giandomenico Fracchia e del meno famoso e forse meno riuscito personaggio del prof. Kranz “tedesco di Germania”, alla storia non solo del cinema, ma anche della Letteratura.  

Paolo Villaggio era un personaggio geniale e poliedrico come geniale e poliedrico era il suo personaggio; un personaggio complesso ed articolato, fra le ultime maschera della commedia all’italiana. Villaggio cercava e si è cimentato con quasi tutte le forme artistiche, dalla Letteratura al cinema.  Fu un tremendo Arpagone nell’Avaro di Moliere e con la stessa sua versatilità costruì il personaggio malinconico e triste del Maestro Sperelli de Io speriamo che me la cavo di Lina Wertmuller.

L’elemento che forse non è mai stato chiaro a tutti è che il personaggio Fantozzi non è mai stato un personaggio comico: è stato un personaggio tragico. La sua capacità (e la capacità dei suoi immortali registi e sceneggiatori, due fra i tanti Age e Scarpelli, non a caso coloro che misero la firma ai capolavori di Risi, Monicelli e tanti altri), è stata proprio quella di unire e fondere commedia e malinconia, giubilo e profonda malinconia.

Ogni film della saga merita attenzione critica, ma non c’è bisogno di essere grandi cinematografici per cogliere la genialità di alcune trovate che sono già entrate nella Storia.  In questi anni il personaggio di Fantozzi, se non qualcuna e sempre marginale, non ha mai attirato critiche. Tutti hanno riconosciuto la grande invenzione del personaggio di rottura con i canoni tradizionali della commedia e soprattutto in linea con le nuove idee dei registi della Commedia all’italiana: l’Italia si sta trasformando in peggio, i privilegi sono per pochi, la ricchezza ed il benessere sono ben lontani dalle reali possibilità dell’uomo medio; insomma non c’è più niente da ridere o da celebrare.

L’Italia ed il suo cinema, però, sono sempre stati molto lungimiranti. Nel paese in cui un regista come Lucio Fulci sa collimare perfettamente comicità ed horror splatter, passando dalla scrittura della scena di Totò e l’Onorevole Trombetta a scene in cui uno zombie schiaccia la testa ad una malcapitata turista ai Caraibi in alcuni dei film più riusciti dell’Horror all’italiana (che non ha nulla da invidiare all’America anzi ha tutto da insegnare, lo stesso Tarantino si è ispirato alla trilogia della morte di Fulci per i film di Kill Bill), non poteva non nascere un personaggio come Fantozzi, appunto comico e tragico. E malinconico. Un personaggio che sapesse far riflettere e anche far ridere.  Un personaggio che sarebbe venuto dalla Letteratura. Un miliardo di copie vendute nel 1975, il libro Fantozzi fu un successo inaspettato e qualche anno dopo l’arguzia di Luciano Salce lo trasferì sullo schermo.

Ne sono seguiti dieci film e anche se qualcuno non sarà d’accordo con me, credo che Fantozzi debba molto soprattutto ai sette film diretti da Neri Parenti (se si escludono appunto, i primi due diretti da Salce e l’ultimo Fantozzi 2000-la clonazione che forse sarebbe stato meglio non fare, pur riconoscendo il talento indiscutibile di Domenico Saverni). I film della saga di Parenti, amante del cinema dalla gag catastrofica e surreale, unita a trovate geniali frutto di una vasta cultura e dell’insegnamento dei suoi grandi Maestri da Steno a Pasquale Festa Campanile), hanno avuto il merito di aver costruito proprio la “Storia” del Ragioniere. La famiglia, gli amici, le scampagnate aziendali, simbolo ed atto di improvvisate emancipazioni dalla vita molle e ripetitiva dell’azienda.

Fantozzi ci ha fatto pensare e riflettere in maniera varia: con lo stile ironico ma anche più intellettualistico di Salce sulla politica e sulle istituzioni presenti in quegli anni, e  facendoci divertire sapendo mischiare, appunto, una battuta sottile sulla tangente che gli ospedali prendono per far abortire abusivamente la figlia (Fantozzi subisce ancora, 1983) alla caduta rocambolesca da un quinto piano di un ospedale che lo porta a sfondare il tetto di un autobus (Fantozzi in Paradiso 1993).

Ogni inquadratura, ogni personaggio mi e ci ha fatto pensare e riflettere. Tutto sapientemente indovinato alla perfezione. Era un cinema che adoperava la celebre massima di un regista con il quale Villaggio aveva lavorato (Brancaleone alle crociate, 1970) come Mario Monicelli “Per fare cinema bisogna saper rubare, ma per rubare bisogna conoscere…e leggere. Suso Cecchi D’Amico aveva letto tutto il leggibile”.

Criticare il Fantozzi di Neri Parenti è stupido intellettualismo e, a mio umile parere, snobismo ignorante.

Da ogni film della saga, lo spettatore, ridendo, traeva insegnamenti preziosi per la sua stessa esistenza; come ad esempio Fantozzi va in pensione (1988). Una commedia che segna l’inizio della “seconda parte” della vita del ragioniere ed un film dai risvolti amari. Il film descrive sapientemente gli umori, i disagi dei pensionati e l’incubo di essere di nuovo degli “scarti della società”. In Fantozzi alla riscossa (per me il miglior film della saga), il messaggio sottile dell’inutilità di mettersi contro i potenti anche quando non si ha più nulla da perdere mentre è strettamente  unito al messaggio che gli unici valori sono quelli che si sono costruiti nel tempo, uno fra tutti la fedeltà ed una moglie che nonostante ti abbia descritto come un “fallito” in un bestseller continua a cercarti come la sua metà” .Si arriva poi, agli ultimi film, vere e proprie prove visionarie come Fantozzi il ritorno (1996), i cui vi ritroviamo riferimenti politici da Silvio Berlusconi e Massimo D’Alema, quest’ultimo trasformato in un angelo che, dopo il trapasso del ragioniere, lo rimanda sulla terra a causa dell’avventata promessa dell’Onnipotente di allora di un milione di posti in Paradiso”.

Film da vedere e rivedere, la nostra storia nella storia. Che diventano ancora più interessanti quando, come spesso accade con i grandi, l’attore è l’esatto opposto del suo personaggio. Paolo Villaggio non era per nulla un personaggio servile, umile, che gli “si intrecciavano i diti” (a tal proposito credo l’Accademia della Crusca, in queste ore, si stia scervellando o meno se ufficialmente inserire i congiuntivi fantozziani o altre espressioni fantozziane nei vocabolari italiani data la loro diffusione). Si sono sentite molte storie su di lui, sul suo presunto cinismo, sulla sua cattiveria, credo, molte delle quali,credo, esagerate e pompate. Il regista David Grieco racconta che una volta la moglie, per evitare che Villaggio divorasse tutto nel frigorifero, mise letteralmente sotto chiave l’elettrodomestico, con lucchetto. Villaggio non si perse d’animo e pensò bene di cercare, nell’ambito della malavita romana, un rapinatore che glielo avrebbe saputo scassinare. Lo trovò e si mangiò tutto.

Villaggio era questo, un uomo completo, poliedrico e diabolico. Come erano straordinari gli attori della saga che lo hanno affiancato, da Milena Vukotic ad Anna Mazzamauro, da Giuseppe Anatrelli, Ugo Bologna e Paolo Paoloni all’indimenticato Gigi Reder, il suo storico amico ragionier Renzo Filini. Filini scomparve nel 1998 e fu lo stesso Villaggio a darne notizie in lacrime dicendo che “era morta una parte della sua vita”. Da oggi saranno uniti per sempre, il Rag. Ugo Fantozzi e il Rag. Renzo Filini, dell’Ufficio Sinistri.

Tra i tanti commenti che ho letto nel giorno della sua morte (“Come mi sentirò quando saprò della morte di Paolo Villaggio, del mio idolo numero uno, della parte della mia infanzia che mi ha fatto crescere ed innamorare del cinema italiano), con tre in particolare ho concordato a pieno: quello di Luca Bizzarri “Se vi capita, leggete i primi libri di Paolo Villaggio. Puro genio”; di Nek “Quando riguarderò uno dei tuoi film ridere diventerà un po’ più complicato “ e l’omaggio di Rudy Zerbi “Ciao Paolo Tu sei un mito e i miti non muoiono mai”.

Ed è verissimo. Senza alcuna retorica. Paolo Villaggio se ne è andato ma è già tornato sulla Terra come in Fantozzi-il ritorno. Ma stavolta, caro Ragioniere, non ti verrà in soccorso” l’oblio”, la possibilità che nessuno si ricordasse della sua morte che rendeva possibile quest’operazione con i suoi familiari ed amici. Non sarà possibile perché in Italia anche fra mille anni nessuno ti dimenticherà perché tu sei la Storia e la Storia non si dimentica.

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