Le tre dimensioni di Marilyn Monroe | Giornale dello Spettacolo
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Le tre dimensioni di Marilyn Monroe

La prima è quella 'cinetica', la seconda quella fotografica e la terza è quella della cantante

Le tre dimensioni di Marilyn Monroe
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Giancarlo Governi Modifica articolo

5 Agosto 2018 - 12.15


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La prima dimensione, la più nota, è quella che è stata im­mortalata nei ventinove (quasi trenta, perché l’ultimo, Some­thing’s Goto Give è rimasto incompiuto) film che ci ha las­ciato. E’ la dimen­sione, diciamo così, cinetica, quella viva e in movimento la dimen­sione in cui parla, si muove, sculetta, sorride, ammicca, seduce con le parole e con il linguaggio del corpo. Un corpo che sembra dire: “eccomi qua, mi puoi toccare perché sono viva e sono tua. Basta che tu allunghi le mani”.

Il più clamoroso caso di seduzione collettiva perpetrata at­traverso la celluloide!

Billy Wilder, che la detestava per la sua scarsa serietà pro­fessionale e per i suoi ritardi sul set (evidentemente non conosceva, o forse non voleva prestarvi fede, le sue condizi­oni psico-fisiche) ma che l’ammirava moltissimo per le sue qualità di attrice e per il suo essere, totalmente, uno straor­dinario “animale di cinema”, diceva: “quando riguardo Marilyn Monroe su una pellicola ricevo la sen­sazione della carne viva. Ho come l’impressione di poterla toccare” .

Ma Marilyn doveva essere anche una grande attrice, se il suo talento riesce a superare quasi sempre la dimensione del fascino che emanavano il suo volto e il suo corpo. Seduce sì, ma la sua non è una seduzione meccanica bensì totale perché arriva attraverso per­sonaggi costruiti con grande talento e con meticolosità.

La seconda dimensione è meno conosciuta, anche se cro­nologica­mente si è manifestata per prima: la dimensione fo­tografica. Non dimentichiamo che Marilyn Monroe ha cominciato la sua car­riera artistica come fotomodella, quando ancora si chiamava Norma Jean e non aveva subìto la seduzione del cinematografo, al quale, del resto, arriverà attraverso la fo­tografia.

Quelle immagini fisse di ragazzina di provincia grezza ed acerba ma già solare e dolcissima, con quei capelli fulvi e crespi che non sono ancora passati tra le mani sapienti di un vero parrucchiere, lo sguar­do involontariamente malizioso, che le scattò André de Dienes nei paesaggi dei pionieri, si può dire che già vivano di vita propria. E che siano arrivate a noi conservando vivi quegli attimi di vita che carpirono e fissarono sulla lastra fotografica.

Marilyn rimase per tutta la vita una fotomodella, anche quando era diventata una diva famosissima. E’ probabile che amasse di più farsi fotografare che comparire davanti alla macchina da presa. Le era comunque molto meno faticoso e più spontaneo. Si ha la sensazi­one, insomma, che all’obiettivo fotografico si abbandonasse istinti­vamente mentre forse la macchina da presa le provocava dubbi do­lo­rosi e fatiche talvolta insopportabili.

Raramente Marilyn si negava ad un fotografo, neppure quando qualcuno di loro le chiese di posare nuda, in un’epoca in cui il nudo era tabù in tutto il mondo. Persi-no negli ultimi giorni della sua vita si concesse alla macchina fotografica nuotando nuda in una piscina. E non volle nep­pure essere pagata, quasi volesse considerare la sua prestazione come un estremo omaggio all’arte della foto­grafia ed ai fotografi che tanto avevano contribuito alla costruzione del suo mito. Anche quelle foto – come tutte le altre che documentano, si può dire, ogni fase della vita di Marilyn, dalla pubertà all’esplodere della bellezza fino alla maturità rigogliosa – contengono una capacità di seduzione, pur nella loro fissità, nella loro mancanza di movimento e di parola, pari a quella della dimensione cinematografica. E talvol­ta anche di più, come nella famosa foto, probabilmente l’ultima della sua vita, in cui affiora (o forse sta per inabissarsi per sempre?) nuda dalla piscina, con la testa ed una coscia.

La terza dimensione è la meno conosciuta perché bisogna estrapolarla dai suoi film, dove spesso canta.

Avevamo sentito cantare Marilyn Monroe in alcuni dei suoi film ma avevamo considerato questa attività complementare a quella cine­matografica. Ascoltate tutte insieme, queste canzoni ci danno la sensazione di una dimensione autonoma. La terza, appunto.

Nel canto, in cui tra l’altro gli spettatori italiani possono sentire la sua vera voce, Marilyn conserva, sprigionando dal suo corpo mor­bido una voce dolce e delicata, tutte le sue capacità di seduzione.

Quando la sentì per la prima volta in Gli uomini preferis­cono le bionde, Zanuck credette che fosse doppiata da una cantante pro­fessionista. I pregiudizi nei suoi confronti dovevano essere ben forti se un intenditore come Zanuck non capì immediatamente che quella non poteva che essere la voce di Marilyn.

Dopo molti decenni dalla tragica morte, Marilyn oggi appare più viva che mai, forse proprio perché non abbiamo assistito al declino dell’invecchiamento e le sue immagini, nelle tre dimensioni, sono rimaste come mirabile modello di bellezza femminile che, passato attraverso tutte le generazioni, è giunto fino a noi e sicuramente si proietterà nel futuro.

 

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