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Giovani produttori e indipendenti: il futuro è nel gruppo

Per Marina Marzotto, neo presidente dell’Associazione giovani produttori cinematografici e indipendenti, la parola d’ordine è: collettività. Fare gruppo.

Giovani produttori e indipendenti: il futuro è nel gruppo
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20 Ottobre 2016 - 10.04


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di Roberta Benvenuto

Dalla produzione, alle riprese. Dal rapporto con la distribuzione alle sinergie con gli esercenti, fino alla visione in sala. Per Marina Marzotto, neo presidente dell’Associazione giovani produttori cinematografici e indipendenti, la parola d’ordine è: collettività. Fare gruppo.

“Soli siamo piccoli per avere un impatto sul mercato. Insieme abbiamo una forza competitiva straordinaria” spiega l’ad di Propaganda Italia, “produttrice atipica” con un passato in marketing e pubblicità. Marina Marzotto ha le idee chiare sulla sua mission da presidente Agpci: “L’impostazione che vorrei dare al mio mandato è su uno sviluppo della rete degli associati, nell’ottica della collective economy: associazioni temporanee di impresa, spinta alle co-produzioni, capacità di produrre insieme”. Una visione che si installa perfettamente sull’operato della precedente presidenza di Martha Capello, che poco più di 8 anni fa ha avuto l’intuizione di unire sotto lo stesso tetto la galassia frammentata dei produttori giovani e indipendenti presenti in Italia. Che sia stata un’idea vincente lo si capisce dai numeri: “Oggi raggruppa 136 aziende dell’audiovisivo italiano, tra produttori, distribuzione e industrie tecniche”. Ma l’associazione “è ad un punto di svolta. L’ultimo presidente era anche il fondare. Bisognerà traghettare l’Agpci verso una sempre maggiore autonomia. Continuare il lavoro di strutturazione e saldarlo con una classe dirigente che possa camminare con le proprie gambe”.

Quali sono gli obiettivi futuri? “Unire la filiera quanto più possibile. In tal senso, ci stiamo dividendo in gruppi regionali: 7 esistenti e quello lombardo in nascita. Una forte presenza territoriale serve a dialogare con gli enti locali, le Film Commission, i Fondi Regionali. Vogliamo avere una visione olistica del cinema. E creare coesione anche con chi vende il prodotto. Siamo molto vicini all’Anec e alla Fice proprio per un confronto tra esercizio e produzione anche in fase di sviluppo”.

Un percorso da manager nelle multinazionali e poi l’approdo al cinema. Qual è stata l’esperienza più formativa che oggi porterai come bagaglio nel tuo nuovo ruolo? “Nel 2012 ho preso una pausa da imprenditrice per tornare a fare il manager come dg di Movimax. Sono entrata a contatto con i meccanismi di distribuzione, con gli esercenti, la messa sul territorio. Ho compreso così qual è il maggiore pericolo per i produttori: innamorarsi del proprio prodotto senza pensare al mercato finale”.

Ma c’è un ma…“Si. Perché senza questi ‘produttori sognatori’, non avremmo mai un film che osa e porta l’asticella del cinema più in avanti. Distributori ed esercenti tendono a guardare dallo specchietto retrovisore ciò che ha avuto successo. In questo modo non si innoverebbe mai. È un punto di equilibrio delicato da trovare”.

Quale potrebbe essere la soluzione? “Segmentare. Dividere i canali di fruibilità. Introdurre nella giusta filiera. Individuare i ‘pubblici’. Comprendere e lavorare sul fatto c’è un mercato per le commedie e i Blockbuster, come per i film autoriali e sperimentali. Per Lo Chiamavano Jeeg Robot Gabriele Mainetti ha dovuto autoprodursi. Ha avuto coraggio e ha trovato riscontro in un pubblico che prima non pensavamo esistesse. Il cinema è innovazione. È il motivo che spinge lo spettatore ad alzarsi dalla poltrona”.

Quale visione dovrebbero avere il cinema e i produttori per invogliare alla fruizione in sala? “La carta vincente è il community based entertainment. Dare qualcosa in più rispetto ad una visione sul pc. La chiave è sempre la collettività. Quando guardi Perfetti Sconosciuti, dopo vuoi bere un bicchiere di vino per parlarne, condividere. Se lo fai a casa perdi metà del gusto. C’è poi il la ricettività: dov’è la sala, come la vivo? Non a caso molti cinema hanno un bistrot all’interno. Bisogna creare un’esperienza in sintonia col contenuto in distribuzione”.

Il ddl Franceschini, la nuova disciplina del settore cinema è stato incardinato in Aula al Senato. Quali sono le novità più rilevanti? “Sicuramente quella del Tax credit allo sviluppo. Importantissima perché questa fase è sempre stata poco attenzionata dai fondi pubblici. Ciò che preoccupa è l’equilibrio tra gli strumenti che generano cash flow. La tendenza è quella di potenziare il Tax credit interno, della produzione stessa. Rispetto al Tax credit esterno, la possibilità di società extra-cinema di investire in produzione e trarne beneficio fiscale. Questo è un problema. Consolidare il Tax credit esterno per noi significa avere un cash flow che potrebbe attivare poi quello interno. Per equilibrio intendiamo anche la puntualità dell’erogazione dei fondi pubblici. Spesso i finanziamenti che dovrebbero arrivare a fine riprese giungono 24 mesi dopo. In mezzo c’è il pericolo che la produzione possa andare gambe all’aria”.

Quali sono i cambiamenti più rilevanti nel panorama cinematografico italiano? “È molto positivo l’ingresso sul mercato della distribuzione di Sky. Il nostro mercato è piccolo, asfittico e con tante posizioni dominanti. Come sottolineato dal dg Cinema Nicola Borrelli, un nuovo player porterà più competitività. Anche verso il mercato internazionale. Come Agpci vegliamo attentamente sulla crescita della start up e l’abbattimento delle barriere d’ingresso all’industria audiovisiva italiana.

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