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Arrivano i Beatles in Eight Days a Week

Esce “Eight days a week” il film di Ron Howard. Dai primi concerti al Cavern di Liverpool all’ultimo a San Francisco. Musica e il dietro le quinte, della band più amata di sempre

Arrivano i Beatles in Eight Days a Week
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14 Settembre 2016 - 09.11


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di Francesco Troncarelli

Il gruppo si è sciolto da anni, 46 per l’esattezza, due di loro non ci sono più, ma il fascino dei Beatles e soprattutto il loro mito è rimasto immutato nel tempo. Ne è la riprova l’attesissimo film realizzato da Ron Howard, regista fra i più apprezzati di Hollywood, premio Oscar per “A Beautiful Mind”, che racconta con preziose immagini inedite, la scintilla che portò i quattro ragazzi di Liverpool a cambiare la storia della musica.

Un evento unico per un gruppo unico che ha segnato un’epoca nel costume, nella moda e nella pop art, questo è “The Beatles Eight Days a Week-The Touring Years” che grazie a Lucky Red sarà nelle sale italiane per sette giorni dal 15 (giorno della première mondiale a Londra a Leicester Square) al 21, un viaggio emozionante che esplora il dietro le quinte della band più amata di sempre, il modo in cui quei giovani con i capelli lunghi prendevano le decisioni, creavano le loro canzoni e costruivano insieme la loro carriera. Un “tour” che inizia dai primi concerti al Cavern Club di Liverpool fino alla storica esibizione al Candlestick Park di San Francisco nel 1966.

Oltre il film realizzato dall’indimenticato “Richie Cunningam”, nei cinema sarà proiettata in versione restaurata mezz’ora dello storico documentario sul concerto del ‘65 allo Shea Stadium di New York dove per la prima volta un gruppo musicale suonava davanti a 55mila persone.

“Ma chi erano mai questi Beatles” si domandavano in un loro celebre brano gli Stadio. Ron Howard ha dato la risposta nel modo più esaudiente possibile, mostrandoci e svelandoci anche grazie a materiale amatoriale recuperato con un lavoro certosino, non solo chi erano Paul, John, George e Ringo ma anche chi stavano diventando grazie al successo mondiale che li stava abbracciando.

Una metamorfosi umana e artistica che li avrebbe trasformati da ragazzi simpatici e brillanti stretti nello loro giacche attillate e negli stivaletti a punta a star internazionali acclamate da folle impazzite e adoranti. E senza l’ausilio di internet e dei social, ovviamente a fargli da grancassa. Non solo un “come eravamo” dei Fab Four quindi, ma anche come e perché è nato questo fenomeno.

“Eight days a Week” per questo è dedicato sì ai fan, ma soprattutto ai Millennials, a quella generazione cioè che conosce le canzoni dei Beatles ma non quell’avventura irripetibile e che ora grazie a questo bel film che ti cattura dai primi secondi quando prima di iniziare con un live di “She loves you”, si sentono le loro voci fuoricampo mentre si preparano in camerino, hanno tutte le opportunità per rivivere e capire la nascita di un fenomeno di risonanza mondiale.

Le radici di questo progetto trasformato dal regista di Apollo 13 in un film, risalgono al 2002, quando la società di produzione One Voice One World (OVOW) propose alla Apple Corps Ltd. dei Beatles di andare alla ricerca di filmati registrati dai fan dei tour dei Beatles, con l’obiettivo di farne un film. Grazie a enormi sforzi, la OVOW ha raccolto numerosi film amatoriali girati in Super 8, sia in bianco e nero che a colori, oltre a moltissimo materiale di archivio di varie emittenti televisive.

Tra le rivelazioni più sorprendenti del film, emerge la posizione che il gruppo prese sul tema della segregazione razziale in occasione del tour nel Sud degli Stati Uniti, nel 1964. Il rifiuto dei Beatles di suonare in qualsiasi luogo che prevedesse la segregazione obbligò il Gator Bowl a Jacksonville, in Florida, a cambiare la sua politica sui posti a sedere. Una presa di posizione coraggiosa la loro che contribuì ad un approccio diverso sul problema razziale da parte delle nuove generazioni, da quello che era il pensiero dominante di quel periodo.

Significativa la testimonianza dell’attrice Whoopi Goldberg, l’irresistibile interprete di Sister Act secondo la quale i Beatles «non erano bianchi, ma senza colore», perché li sentiva vicini, erano liberi: «La loro era una rivoluzione». Dal canto suo Sigourney Weaver, fan dell’epoca che giovanissima appare in una foto tra la folla delle fan scatenate, sperando di essere notata da Lennon a New York, ricorda: “Ero innamorata di John, ho passato un pomeriggio a scegliere il vestito per andare al loro concerto».

“The Beatles Eight Days a Week-The Touring Years”, come dire, cinquant’anni andata e ritorno dei più grandi di tutti, gli happy days dei Fab Four tra assedi di teenagers, live incandescenti e una vita frenetica “otto giorni alla settimana”, un concentrato di emozioni, musica (150 canzoni), risate e nostalgia che ti scuote e ti coinvolge per due ore fino all’ultimo secondo.

Il The End non a caso simbolico e di fatto della pellicola, è sottolineato dalle note di “Don’t Let Me Down” e “I’ve got a feeling” suonate in cima al tetto dell’edificio che ospitava il loro ufficio, al numero di 3 di Savile Row nel Centro di Londra, con la gente col naso all’insù che li guarda stupita. E la loro ultima volta insieme e l’applauso nasce spontaneo. E a qualcuno sicuramente spunterà una lacrima.

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