Il 5 gennaio compie gli anni una delle donne più influenti d’America, attrice, produttrice, regista, fotografa e arredatrice, e vincitrice di un premio Oscar: Diane Keaton.Entrata nel cuore degli americani con Provaci ancor Sam, musa di Allen (che l’ha diretta anche in Interiors e Manhattan), è stata legata anche a Warren Beaty (Reds). Tra i suoi film, il remake del Padre della sposa, Il club delle prime mogli, La stanza di Marvin.
Figlia di un ingegnere e agente immobiliare di origine irlandese e di una fotografa dilettante con la passione per l’arte (Dorothy Keaton), la piccola Diane Hall si invaghisce dello spettacolo – così racconta nelle sue memorie – quando la madre partecipa a un concorso locale per casalinghe (“Mrs Los Angeles”) e scopre la magia del dietro le quinte di uno show. Comincerà presto a frequentare scuole di recitazione e di canto e traslocherà a New York per frequentare l’Actor’s Equity Association. Da ragazza, come tanti nella sua generazione, aveva avuto il battesimo del fuoco in palcoscenico con “Un tram che si chiama desiderio”, ma il primo successo personale viene con “Hair” nella Off Broadway. Ed è qui che si mette in mostra fino a incuriosire Allen che, dopo un’audizione, la seleziona per il suo spettacolo teatrale “Provaci ancora Sam”.
E’ il 1969 e Diane Hall, che nel frattempo ha scelto il nome della madre e si fa strada come Diane Keaton, è già pronta per il grande salto dal teatro al cinema. Debutterà un anno dopo con “Amanti ed altri estranei” di Cy Howard in un ruolo minore; ma il successo della commedia di Allen attira Francis Coppola che le propone il ruolo dell’irlandese Kay Adams, la moglie di Michael Corleone nella saga de “Il padrino”.
Diane non ha nemmeno 30 anni e in pochi mesi entra nella storia del cinema con il film di Coppola e nei cuori degli americani con la versione per su grande schermo di “Provaci ancora Sam”, firmata da Herbert Ross in quello stesso 1972. Cinque anni dopo, ormai sicura della sua popolarità, acclamata musa del suo compagno (reciterà con Allen in ben otto film, anche dopo la fine della loro storia), Diane Keaton va incontro nuovamente a una doppia svolta professionale: nel 1979 vince l’oscar per “Io e Annie” e recita nel film di Richard Brooks “In cerca di Mr. Goodbar” che la pone all’antitesi del suo personaggio più amato. Solitaria, randagia, pronta al sesso facile, Keaton qui è quasi irriconoscibile per i suoi fan, ma conquista la stima dei critici che finalmente imparano a separarla dal suo mentore e ritrovano la forza e l’indipendenza di spirito dell’attrice da lei più amata e imitata, Katharine Hepburn.
Dopo un doppio incontro “alleniano” che lascerà il segno tra i rovelli morali di “Interiors” e la poesia visiva di “Manhattan”, Diane scioglie l’ultimo cordone ombelicale e nel 1981 raggiunge sul set (poi anche nella vita) Warren Beatty per “Reds”. La sua pasionaria Louise Bryant è un personaggio ideale per la nuova Keaton e infatti la porta nuovamente a un passo dall’Oscar. Ma i ruoli drammatici (in cui peraltro eccelle) non saranno comunque il suo cavallo di battaglia. Per avere successo e diventare una delle attrici più pagate di Hollywood deve scegliere ancora la commedia, un’arte di cui conosce, quasi per istinto, i tempi comici, i vezzi, le svolte impreviste. Come le migliori attrici della sua generazione, Meryl Streep in prima fila, anche Diane Keaton sceglie ormai i suoi ruoli con navigato cinismo. Eccola allora nei panni del suo mito, Hepburn, per il remake di “Il padre della sposa” e poi affidarsi al produttore Scott Rudin che la arruola insieme a Goldie Hawn e Bette Midler a comporre “Il club delle prime mogli” (1996) e conquistare una popolarità che l’amato Woody non le aveva mai potuto consegnare. Forse anche questo prepara la sua nuova nomination all’Oscar, ottenuta nel ‘97 per lo strappalacrime “La stanza di Marvin” di Jerry Zaks.
Rispetto alla quasi coetanea Goldie Hawn (la “fidanzata d’America”), Diane Keaton incarna un sogno impossibile per l’americano medio: bella ma mai ritoccata dai chirurghi plastici, elegante ma anticonformista con i suoi completi che impone ai personaggi, rubacuori ma ferocemente attaccata alla propria libertà e a quell’amicizia amorosa con Woody che dura nel tempo, a dispetto di tutto e dei reciproci legami. Così, sempre più simile a Katharine Hepburn anche nel carattere solitario e bisbetico, attraversa le generazioni di Hollywood senza mai lasciarsi contagiare. Oggi spende sempre più tempo con la macchina fotografica in mano, ricalcando da professionista le orme amatoriali della madre; colleziona opere d’arte contemporanea, si concede a commediole senza pretese (“Love the Coopers”, 2015) o ritrova a tratti i suoi autori preferiti come Lawrence Kasdan che nel 2012 l’ha diretta in “Darling Companions”. Ma alla fine nulla intacca il mito di Annie Hall: un personaggio tanto autobiografico che porta il suo vero cognome e il nome con cui Woody Allen l’ha sempre chiamata: Annie appunto.