Il labirinto del silenzio di Giulio Ricciarelli, in sala dal 14 gennaio con la Good Film e candidato agli Oscar per la Germania, racconta che se chiedevi nel ’58 cos’era Auschwitz ai tedeschi, nessuno avrebbe risposto. Perché nessuno ne era a conoscenza.
Un gran bel pezzo di storia, poco conosciuta, raccontata per documentare le difficoltà di arrivare al processo che, nel ’63, portò in aula 211 sopravvissuti a Auschwitz e 19 Ss e, soprattutto, portò una nazione alla coscienza di un terribile recente passato.
L’opera di Ricciarelli, vuole raccontare: la responsabilità di chi partecipò a quell’orrore, diviso tra coscienza e dovere di soldato, le suggestioni del revisionismo storico, la banalità del male di Hanna Arendt e soprattutto la volontà di un paese che, in fondo in fondo, non vuole davvero sapere la verità. Protagonista un giovane pubblico ministero (Alexander Fehling) che, con l’aiuto di un giornalista (Andrè Szymanski), s’imbatte in alcuni documenti che permettono di avviare il processo contro i membri delle SS che hanno commesso crimini nei campi di concentramento. La storia, basata su fatti reali, racconta appunto gli sforzi di quest’uomo, puro e duro, per rompere la coltre di silenzio e assicurare i responsabili alla giustizia.