Reduce dai successi di Non essere cattivo, pellicola postuma di Claudio Caligari, proiettata fuori concorso all’ultimo Festival di Venezia e ora candidato a rappresentare l’Italia agli Oscar 2016 come miglior film straniero, e Suburra, firmato da Stefano Sollima, nelle sale dal 14 ottobre e già acquistata da Netflix che trasmetterà la serie in streaming nel 2017, Alessandro Borghi, ventinovenne romano (della Garbatella), è uno delle nuove rivelazioni attoriali del panorama cinematografico italiano.
Alessandro, premio NUOVOIMAIE Talent Award a Venezia 72, sostenitore della necessità di una sana gavetta, le ossa se le è fatte prima sulle passerelle come indossatore, poi come stunt-man, grazie al quale ha potuto muovere i primi passi sui set, e infine nelle serie TV – galeotto fu quel provino per Distretto di Polizia – con partecipazioni a RIS 5, Squadra narcotici, Romanzo Criminale 2 e Non uccidere, attualmente in onda su Rai 3. L’incontro con il grande schermo è arrivato con l’indipendente 5 (Cinque) di Francesco Maria Dominedò e Roma Criminale, diretto da Gianluca Petrazzi; poi il 2015 e la svolta.
Mi sento al centro di un vortice di emozioni molto forti. Non essere cattivo è nato come un terno al lotto perché nessuno di noi sapeva all’epoca quale sarebbe stata la sua sorte. È stato e continua ad essere molto apprezzato e, nonostante il basso numero di copie arrivate nelle sale, direi che ha superato le aspettative di tutti. Suburra invece è appena uscito, quindi, in un certo senso, richiederebbe di rimandare il “bilancio” più in là. Di certo c’è che già si preannunciava come un film che avrebbe provocato molto rumore e che soprattutto al botteghino avrebbe avuto un’importanza diversa, grazie anche alla maggior distribuzione rispetto al titolo precedente. Personalmente questa accoglienza da parte del pubblico la sto vivendo in maniera molto intensa: percepisco con piacere un forte interesse collettivo nel cercare di capire quale sia stato il mio percorso che ha preceduto la realizzazione di questi film, e quale sia stato il mio approccio. Sono felice perché, ci tengo a dirlo, in queste due occasioni ho donato tutto me stesso, ho dato tutto ciò che potevo dare, tutte le energie che avevo messo da parte in questi anni, nell’attesa di progetti così grandi. Vedere una reazione positiva degli spettatori mi ripaga di tutte le fatiche. È una sensazione meravigliosa che in realtà, lo ammetto, non ho ancora somatizzato del tutto.
Come si è preparato a questi due ruoli e cosa ha significato per un giovane attore interpretare personalità così complesse?L’unica cosa che accomuna Vittorio di Non essere cattivo e Numero 8 di Suburra è il dialetto. Anche se, a essere precisi, non parlano lo stesso romano perché sono due animi diversi e distanti che si rapportano in modo diverso con gli altri e con il mondo che li circonda: Vittorio è un ragazzo di periferia che viene sommerso dalla vita senza possibilità di scelta; è un giovane allo sbando, rinchiuso in un disorientamento interiore fatto di difficoltà e sofferenze di un vivere in determinate condizioni. Numero 8, innanzitutto, è e vuole essere cattivo. Poi è uno che una scelta la prende: vuole diventare un criminale e portare avanti l’eredità della famiglia, il che lo pone già in una condizione diversa: lui è a tutti gli effetti un boss, uno che gestisce importanti giri di malaffare in una precisa zona come quella di Ostia che, come accade nel film (e nel mondo reale), s’intreccia inesorabilmente con una serie di altre concrete situazioni delittuose che alimentano di conseguenza la rete (e la sete) del potere e della concorrenza.
Sinceramente, dare vita a questi due caratteri non è stato facile. Ho lavorato prima a Suburra e poi a Non essere cattivo, e il mio approccio con Numero 8 è stato quello di entrare il più possibile negli atteggiamenti, nella gestualità e nel modo di parlare ed esprimersi proprie di quel tipo di persone, ovvero coloro che devono, sempre e comunque, inviare a tutti un messaggio chiaro e costante: “non ho paura di niente e di nessuno; posso fare quello che voglio e nessuno può toccarmi”. E credo che in Numero 8 questa caratteristica si percepisca immediatamente. Inoltre, è dotato di una certa imprevedibilità che gli consente di celare al pubblico ciò che sta pensando o escogitando fino a quando non compie concretamente una determinata azione. Il mio personaggio di Non essere cattivo, invece, è stato creato e sviluppato in sinergia con Luca Marinelli, che interpreta Cesare, perché sono due personaggi che nascono, crescono e si evolvono in simbiosi: senza l’uno l’altro non può esistere. Questo ci ha permesso di concentrarci sulla nostra amicizia rendendola base comune sulla quale costruire la relazione tra i due personaggi e la loro sensibilità. Perché, alla fine, Non essere cattivo è un film d’amicizia e d’amore.
Due caratteri completamente diversi con metodi non troppo dissimili, accomunati dal non parlare molto, ma questo credo sia proprio di chi ha ben chiara la strada che deve percorrere. Stefano dà indicazioni molto precise agli attori, mentre Claudio – purtroppo devo usare il passato – li lasciava più liberi di ascoltare e seguire il proprio istinto. Lui si dedicava a un tipo di cinema più, se possiamo passare il termine, “neorealista”, quindi cercava di cogliere il più possibile le emozioni scaturite da reali dinamiche di vita. Sono due metodi diversi e importanti che per un attore non possono che tradursi in occasioni privilegiate di mettersi alla prova.
Prima del cinema c’è stato anche il piccolo schermo, principalmente con serie Tv poliziesche…Non ho avuto un percorso formativo accademico: mi sono avvicinato al teatro dopo aver fatto televisione, che è una scelta atipica per un attore. Però sono molto contento di questa “anomalia” perché mi ha dato la possibilità di stare subito davanti alla macchina da presa, costruendo il mio stile recitativo meno sulla tecnica ma molto più sull’istintività di cuore e pancia. Sicuramente c’è distinzione tra chi ha una preparazione accademica e chi no: io guardo ai primi con molta stima, ma non nascondo che sono contento di essere nato da subito in un contesto formativo cinematografico. Prima di raggiungere il grande schermo ho fatto molta televisione ed è stata stata una palestra fondamentale che costringe a modalità di lavoro e tempistiche diverse, molto più contratte, concentrare, che richiedono di focalizzare al massimo le energie su te stesso. Certamente la televisione ti “fa le ossa” come attore ma, lo ammetto, il cinema lo preferisco senza alcun dubbio. Poi questi due ultimi film mi hanno completamente cambiato la vita: sono due esperienze che mi hanno segnato e che inevitabilmente mi porterò dentro.
Previsioni?Mi auguro di fare presto anche teatro. Un po’ mi manca. Ma in questo momento ho molti impegni quindi, per fortuna, il tempo per aggiungere uno spettacolo non ce l’ho. Vorrei lavorare a una commedia perché sento il bisogno di staccarmi da questa tipologia di film che ho fatto finora, e spero possa arrivare il prossimo anno. Mi auguro di poter prendere parte a dei progetti con un livello qualitativo alto, come Non essere cattivo e Suburra, perché sono state due esperienze davvero travolgenti. Poter ripetere tutto questo sarebbe per me un grande traguardo, anche perché il cinema italiano è capace di fare film rilevanti. Molti tendono a farci pensare che non siamo in grado di produrre opere di qualità competitive, poi però di fronte a pellicole come queste puntualmente si ricredono. Questo è un paese dove la crocifissione è all’ordine del giorno, e ogni tanto qualcuno deve sparlare. E noi, invece, rispondiamo facendo il nostro lavoro, facendo film importanti. Opere di qualità.