Dopo qualche apparizione ai festival estivi, arriva anche in sala La nostra quarantena, ultimo film di Peter Marcias, proiettato per la prima volta, a Cagliari, il 30 settembre al cinema Odissea, dove, oltre al regista era presente l’interprete protagonista Moisè Curia, lo sceneggiatore Gianni Loy e buona parte del cast tecnico.
Il direttore della Cineteca Sarda, Antonello Zanda, il quale ha introdotto brevemente il lungometraggio, ne ha sicuramente messo in evidenza un elemento importante: la differenza nell’ambito del linguaggio cinematografico rispetto agli altri lavori dell’autore. Ne La nostra quarantena, Marcias non si accontenta di elaborare una docufiction tradizionale, come gli era capitato in passato, ma tenta una strada espressiva diversa, cercando una sua propria linea estetica, dimostrando il desiderio, avendo ben presente il cinema contemporaneo, di andare oltre lo standard del genere.
Peraltro, gli stacchi segnati da cambiamenti di colore e di “pasta” del fotogramma, accentuano la sensazione di metacinema, non solo nella struttura, ma pure nel contenuto, dimostrando, come ha affermato lo stesso regista, la difficoltà di compenetrare la realtà di un fatto accaduto qualche tempo fa (la vicenda della nave Kenza abbandonata dall’armatore nel porto di Cagliari e l’equipaggio rimasto sull’imbarcazione per quasi due anni, attendendo gli stipendi dovuti e accuditi dalle istituzioni e dai volontari) con una “cornice” di fiction credibile. Peter Marcias, a proposito, ha raccontato come lui e Gianni Loy abbiano “filmato la nave, l’equipaggio pensando a un film diverso. Ero convinto di documentare una piccola rivolta, dei lavoratori lasciati in una città straniera senza nessuna risorsa. Poi, ho capito come così non sarei andato avanti.
Il capitano e i marocchini avevano esigenze diverse, sicuramente la loro giusta causa era essere ricompensati per il loro lavoro, ma più che mettere in atto una rivoluzione, erano lo specchio di un forte disagio esistenziale, di chi ha cercato di realizzare i propri piccoli sogni ed è stato fermato da un destino solo in parte identificabile con quell’armatore ambiguo e incomprensibile nelle sue scelte. A questo punto abbiamo dovuto trovare una soluzione. Insieme a Gianni, tornavamo la sera, dopo le riprese, a scrivere la parte di fiction e delineare il personaggio del ragazzo, che, analizzando la situazione della Kenza, ha modo di riflettere, per certi versi identificandosi nei marinai marocchini, sulla opportunità delle scelte per il proprio futuro.”
Questa sezione de La nostra quarantena è volutamente poco approfondita; lo spettatore segue nei flashback, non cronologicamente, come Salvatore, studente all’Università di Roma, abbia un incarico di studio sul campo dalla sua docente (Francesca Neri) e quanto questa inchiesta abbia influito sulla sua quotidianità.
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