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Felice Laudadio: il nostro Bif&st senza fronzoli

Dal 21 al 28 marzo 2015 Bari vivrà una settimana di grande cinema per la sesta edizione del Bif&st: 400 eventi e un focus speciale sulla fiction.

Felice Laudadio: il nostro Bif&st senza fronzoli
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11 Marzo 2015 - 16.37


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di Chiara D’Ambros

Dal 21 al 28 marzo 2015 Bari sarà invasa da protagonisti, appassionati del mondo del cinema per la sesta edizione del Festival Bif&st promosso dalla Regione Puglia e prodotto dall’Apulia Film Commission con la collaborazione del Comune di Bari e dell’Università degli Studi Aldo Moro. Presieduto da Ettore Scola e ideato e diretto da Felice Laudadio, che abbiamo incontrato alle prese con gli ultimi preparativi.

Bif&st sta per partire, a che punto è la preparazione del viaggio?

Durante questa ultima fase di preparazione del viaggio si è aggiunto un vagone nuovo, pesante dovuto alla scomparsa di Francesco Rosi, che non avevamo, ovviamente, previsto. Rosi era già stato una presenza al Festival per ritirare il Premio Fellini dalle mani di Ettore Scola nel 2010, ed era molto felice, tanto che l’anno scorso, avevamo una retrospettiva tutta dedicata a Gian Maria Volonté e gli avevo chiesto di venire ma non ce la faceva, perché le gambe non lo reggevano. Ci propose, però, di mandargli una troupe per registrare una sua dichiarazione, dalla quale è stato realizzato un documento di 40 minuti, in cui dice delle cose straordinarie e inedite su Volonté, e allo stesso tempo parla del suo cinema. Lo presenteremo nella prossima edizione di Bif&st. Questo vagone si è aggiunto in corsa a un altro, molto complesso, che era già presente, su cui stiamo ancora lavorando intensamente, ossia una grande retrospettiva dedicata a Fritz Lang, uno dei grandi maestri della storia del
cinema, a cui si sono ispirati tutti, anche i grandi registi americani, da Spielberg a Camerun. Poi a Bari non c’è tappeto rosso. Io odio i tappeti rossi. Non li ho mai fatti nemmeno quando dirigevo Venezia, e tanto meno ci sarà a Bari, dove il pubblico è formato in grandissima parte da ragazzi. Dei 70.000 spettatori presenti negli 8 giorni di manifestazione, si è visto che la componente di pubblico tra i 16 e i 25-26 è il 75% . Proprio per questo pubblico c’è una scelta molto precisa di percorso che prevede una serie di film in anteprima italiana assoluta e le seguitissime lezioni di cinema tenute da attori e registi. Non mancheranno, poi, i documentari.

Niente red carpet e grandi spazi di incontro…

Si, la nostra caratteristica è proprio di creare un rapporto diretto tra chi fa il cinema e chi lo vive, chi lo fruisce. Non ci sono né guardie del corpo, né barriere, i nostri autori rimangono ore a discutere con i ragazzi non solo nelle lezioni di cinema. Non facciamo conferenze stampa, facciamo incontri in cui sono ammessi anche i giornalisti – li chiamiamo proprio “incontri con gli autori del film del giorno” – e ci sono sempre 2/300 persone.

E poi ci sono i laboratori…

Sì, proponiamo ogni anno di laboratori dedicati alle varie professioni del cinema. Quest’anno ci saranno quattro laboratori dedicati alla scenografia condotti da figure rilevanti del settore. Il seminario di scenografia per il cinema, per esempio, verrà condotto da Lorenzo Baraldi, quello dei costumi da Gianna Gissi, che sono stati collaboratori di Mario Monicelli in 16 film. Ci sono 30 posti per ciascun laboratorio e arrivano centinaia le richieste. Sono laboratori che possono rappresentare delle opportunità per questi giovani. Come è successo nei i seminari di sceneggiatura negli anni scorsi. Infatti, se qualcuno di questi ragazzi ha talento, può essere portato a Roma come “apprendista stregone”, a lavorare come assistente ai professionisti nei loro prossimi film.

Trova che il cinema in Italia possa essere davvero un’opportunità di lavoro?

Il cinema non morirà mai. È un dato di fatto che le troupe si stanno sempre più riducendo, mano mano che i mezzi tecnologici diventano più sofisticati. Una volta c’erano troupe per film-maker di 40-50 persone, talvolta anche di 100 persone, ora con i nuovi mezzi di ripresa, con l’avvento del digitale, bastano 3-4 persone. Ma avremmo sempre bisogno di racconti per immagini, sarà diverso il modo di fruirne, il modo di produrli, ma la sostanza rimarrà.

A proposito di digitale… Lei è stato uno dei primi a dare spazio all’innovazione digitale a Cinecittà quando era il presidente di Cinecittà Holding, attorno al 2000, come mai questa attenzione?

È una questione del “tenersi informati”, di vedere cosa ti succede attorno. Guardando gli scenari della produzione mondiale dominante, ossia quella americana di quegli anni, si vedeva che c’erano in corso una serie di esperimenti precisi sull’uso delle nuove tecnologie. Ci aveva tentato Coppola, e sebbene inizialmente avesse fallito, Luckas, poi…insomma se delle grandi teste come Coppola, Spielberg, Luckas cominciano a occuparsi di altri modi di produzione del cinema vale la pena di stargli dietro, di vedere dove si sta andando. Quindi assieme a David Bush, specializzato nell’utilizzo di queste tecnologie, abbiamo iniziato a organizzare “I martedi di Cinecittà”, incontri conoscitivi sull’argomento che erano molto osteggiati da tanti addetti ai lavori. Poi nel 2001 abbiamo realizzato con queste nuove tecnologie 6 cortometraggi, diretti da 6 registi diversi tra cui c’erano Luca Lucini e Marco Pontecorvo, riuniti nel film “Sei come sei”. Abbiamo presentato questo film – che è stato anche selezionato alla Berlinale quell’anno – in anteprima a Roma nella sala Fellini di Cinecittà, presenti i direttori delle aziende produttrici di pellicola, che hanno dovuto cambiare idea, non erano più così aggressivi, e hanno cominciato a capire che avrebbero dovuto convertire la produzione.

Per tornare al Bif&st, un altro elemento di quest’anno è una riflessione su un genere che sempre di più sta spiccando nel panorama cinematografico di oggi: la fiction.

Quest’anno alla fiction dedicheremo un convegno. Non facciamo mai convegni ma quest’anno faremo due tavole rotonde in due giorni successivi perché la questione sta diventando molto delicata. È una questione che ha sollevato lo stesso Spielberg, in quanto in America si nota che la qualità medio-alta delle nuove serie americane è molto più alta della qualità media del cinema americano. La fiction italiana, se dovesse essere messa in confronto diretto con la fiction americana, ne uscirebbe sconfitta. Certo il pubblico è abituato al linguaggio della fiction italiana ma non regge il confronto e se questo pubblico di colpo cessasse – cosa che non mi auguro perché questo comporterebbe disoccupazione enorme – o cambiasse gusto si dovrebbe pensare a una rivoluzione del linguaggio della fiction italiana.

La dimensione internazionale sembra ormai imprescindibile nel mondo del cinema. Come gioca la partita il cinema italiano in questo senso?

Malissimo, come gioca malissimo tutto il cinema europeo. Una volta le co-produzione Italia, Germania, Francia, Spagna erano quasi automatiche, per il fine della qualità. Oggi le co-produzioni si contano sulla punta delle dita. Una volta c’era uno straordinario fenomeno di meticciato produttivo in Europa. Oggi, invece, se si trova una co-produzione di due Paesi è già un fatto eccezionale. Per un rilancio del cinema italiano sul piano internazionale sarebbe necessario poter realizzare sul modello che tutti rivendichiamo essere il modello migliore, ossia, quello francese, un’agenzia, un centro nazionale del cinema, che dia nuova credibilità, nuovo spazio nostro cinema.

Quasi tutto pronto, il viaggio del Bif&st sta per cominciare, come vive lei il festival?

È faticosissimo. È un piccolo festival dal punto di vista finanziario, ma in 8 giorni, facciamo 400 eventi, e devo essere sempre presente. Ma la sera quando è partito l’ultimo film, rimango con un piacere immenso, perché ripenso alle persone, alla partecipazione e vedo che ne è valsa la pena.

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