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Colin Firth e tutti gli alter ego di Woody

Colin Firth interpreta il ruolo di protagonista nell'ultimo film del regista newyorkese, strizzando l'occhio anche al Woody Allen attore.

Colin Firth e tutti gli alter ego di Woody
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3 Dicembre 2014 - 08.09


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La ‘magia’ di Colin e di tutti gli alter ego di Woody

di Marco Spagnoli

@marco_spagnoli

Woody Allen compirà ottanta anni il 1° dicembre dell’anno prossimo.

La sua filmografia assolutamente unica nel panorama internazionale, di regista amato più in Europa che negli Stati Uniti e – certamente – più in Francia e in Italia che altrove, fa sì che ogni film sia un vero e proprio evento, per un motivo o per l’altro.

Anche se nel corso dell’oltre mezzo secolo di lavoro per il cinema, Allen non è stato sempre in grado di realizzare film riusciti (del resto chi può dire di non avere mai sbagliato un film soprattutto dinanzi ad un’opera così vasta?) i grandi capolavori della sua filmografia hanno conquistato il cuore di milioni di appassionati in tutto il mondo.

Tra loro, ovviamente, ci sono molti attori e attrici che sono talora perfino ‘cresciuti’ guardando il cinema di Woody Allen.

Uno di questi è dichiaratamente Colin Firth, che dopo l’Oscar per Il Discorso del Re continua ad essere uno degli interpreti più richiesti e apprezzati del momento è anche un fan del lavoro di Allen.

Ed è così che guardando la commedia Magic in the Moonlight, in cui Firth interpreta un presuntuoso illusionista che nella riviera francese degli anni Trenta si innamora perdutamente di una presunta imbrogliona di cui dovrebbe rivelare gli inganni, non si può fare a meno di notare l’influenza del regista e attore americano su Firth.

Un fenomeno di identificazione ed emulazione, già riscontrato in passato con altri artisti del calibro di Kenneth Branagh e di John Cusack, di Larry David e Sean Penn, fino ad arrivare all’apprezzatissimo Midnight in Paris (il più grande successo commerciale di Allen) di cui è stato protagonista Owen Wilson.

Così, anche in molti momenti di Magic in the Moonlight esattamente come era capitato per altri grandi attori, Colin Firth restituisce qualcosa di Woody Allen interprete ed icona: uno sguardo, un’espressione, un sorriso che sembra costituire un’eco dell’incontro tra l’attore e il suo regista di cui è diventato inevitabilmente l’alter ego.

E dire che Allen ha sempre sostenuto di non dire praticamente agli attori sul set e di dare loro soltanto le pagine del copione che li riguardano giorno per giorno. Un modo per fare sì che il loro approccio alla narrazione cinematografica (girata in sequenza) sia il più fluido e genuino possibile.

Una modalità di lavoro di cui, qualche anno fa Woody Allen, diceva: “Sono davvero molto fortunato: per produrre un film all’anno posso permettermi di pagare tutti quelli che lavorano con me solo il minimo sindacale. Nonostante questo trovo sempre disponibili grandissimi interpreti che non vedono l’ora di lavorare con me. Rispetto poi al rapporto con gli attori io ho delle regole molto precise. Non do loro tutto il copione, ma solo parte di esso in modo che non sappiano sin da subito quale sarà la direzione intrapresa dai loro personaggi. Girando il film il più possibile in sequenza, ovvero tenendo conto dell’evoluzione della trama, questo consente loro di avvicinarsi sensibilmente a quella che può essere la verità più profonda del loro personaggio. In realtà, però, credo che il merito di quello che accade sullo schermo stia soprattutto grazie al lavoro che viene fatto a monte. Quando scegli degli attori di così grande talento non puoi sbagliare e le cose non possono, di fatto, andare male. Per questo motivo sul set io non dico troppo agli attori: li responsabilizzo all’inizio e li dirigo solo quando serve davvero, il che accade di rado.”

Spiegando le motivazioni che lo portavano a questa scelta, il regista newyorkese sottolineava “Il mio desiderio è quello di togliermi di mezzo rispetto a quanto accade sullo schermo. Non voglio essere di intralcio, né tantomeno creare confusione. Del resto così come accade nel cinema di Billy Wilder, un regista che ho sempre amato moltissimo, i miei film hanno una qualità letteraria che spesso mi ha ispirato ad utilizzare un narratore che guidasse il pubblico all’interno della storia. Credo che sia anche un retaggio del cabaret e di quando uscivo sul palco per proporre al pubblico un racconto. Come ho detto, poi, se non avessi fatto il regista, alla fine, forse, avrei fatto lo scrittore e questo destino mancato si riverbera così nel mio cinema attraverso una presenza non spiegata che per quanto misteriosa ci racconta la storia. Non so a chi appartenga questa voce, ma so che mi fa stare bene…”

L’ultima volta che lo abbiamo visto sul grande schermo è stato per uno degli episodi di To Rome with Love, anche se Allen ha spesso rinunciato al ruolo del protagonista principale del film,: “Sono troppo vecchio per alcune parti. “ aggiungeva il regista “Non ha alcun senso vedermi sullo schermo solo perché è un mio film. Ho a lungo interpretato il protagonista e oggi non ci sono ruoli giusti per me nei lavori che voglio portare sullo schermo. Non è divertente interpretare altri ruoli se non quello che, alla fine, conquista la ragazza. Non dico che non accadrà di nuovo, penso solo che devo trovare una parte che abbia senso oppure un modo per conquistare la giovane protagonista. Immagini quanto possa risultare frustrante dirigere un film con Scarlett Johansson, Naomi Watts e Freida Pinto e non essere quello che le conquista. Sa qual è la realtà? E’ che io, oggi, sono quel “vecchietto” dietro la macchina da presa e non più il tizio seduto al tavolo con donne bellissime alle quali racconta un sacco di balle… “

Il “tizio” in questione, nel caso di Magic in the Moonlight, è il ‘fortunato’ Colin Firth che ha a che fare con Emma Stone, una vera e propria rivelazione del cinema americano ed un’attrice in ascesa che Woody Allen fotografa, come spesso capita alle sue donne, con un’insolente bellezza per quella che è una delle commedie sofisticate più riuscite degli ultimi anni al regista americano e in cui ritroviamo alcuni dei temi più cari: l’illusione, l’aldilà, l’amore, la passione.

Un altro piacevole film sulla seduzione e il suo gioco in grado di farci coprire di ridicolo e di prendere bonariamente in giro perfino un sex symbol come Firth che Woody Allen racconta così: “Amore e seduzione confondono ciascuno di noi, perché non hanno niente a che vedere con il cervello, ma con il cuore: non li potrai mai davvero capire: le persone più intelligenti sono capaci di fare le cose più irrazionali quando si tratta di passione. Tutti sono capaci di coprirsi di ridicolo in determinate situazioni che hanno a che fare con l’amore.”

Esattamente come avviene al verboso e brillante personaggio interpretato come sempre in maniere elegante e perfetta da Colin Firth nel “magico chiaro di luna” della Francia degli anni Trenta di Magic in the Moonlight.

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