Le frequenze televisive sfuggono curiosamente al dibattito in corso sulla rete di telecomunicazione: eppure “banda larga” non è tanto e solo una specifica tecnologia, bensì una più vasta e plurale aggregazione di strumenti per la connessione. Alla rete. Negli ultimi anni l’innovazione ha fatto passi enormi, unendo alla fibra ottica altre opportunità comunicative, scaturite proprio dallo spettro delle frequenze. Silenzio. E’ l’eterno conflitto di interessi, che prescinde persino dalla collocazione politica (al governo, all’opposizione, nel guado del Patto del Nazareno) di Berlusconi, ma che porta ad oscurare puntualmente ciò che accade nel quadrante “della morte” delle onde hertziane.
Nel 2020 (con possibile elasticità di due anni) l’importante banda 700 (Mhz) transiterà dall’uso per il video ai cellulari di nuova generazione, per disposizione dell’Unione europea. Apriti cielo. Che succederà alla Regina dei media? Il tema è stato rinviato e tenuto nell’ombra. Ora, però, l’ora X si avvicina. Mediaset sta premendo per accelerare l’introduzione della compressione del segnale (Hevc: High efficiency video coding), onde evitare di avere problemi con la pay-tv; le emittenti locali si difendono con le unghie e con i denti con la boccata d’aria del fresco regolamento che assegna loro le risorse. La Rai? Ecco, il servizio pubblico sembra alla mercé degli eventi. Infatti, della bozza di contratto di servizio, che in base alla convenzione deve essere pronta in sei mesi (28 ottobre 2017), non c’è traccia. Peggio. Sono vere le voci della richiesta del governo a viale Mazzini di cedere il Mux 1, il multiplex principe dello spettro digitale con i suoi 2000 impianti e il 99% della popolazione coperta? Insomma, la Rai ne uscirebbe malconcia, dovendo ripiegare su altri Mux meno prelibati, con danni sulla capillarità della diffusione sul territorio. Ecco, sarebbe bene che se ne parlasse e che la stessa commissione parlamentare di vigilanza, oltre al comprensibile disagio per il contratto di Fazio, manifestasse qualche preoccupazione sul contratto di servizio: è il testo fondamentale per un apparato di servizio e, non dimentichiamolo, l’ultimo esemplare conosciuto è scaduto nel 2012.
Tutto ciò stride alquanto con l’improvviso rilancio della discussione sulla rete pubblica di tlc. Vivendi ha risposto ai rilievi della Consob che non controlla Tim-Telecom. Stiamo a vedere. Tuttavia, il dubbio che l’improvviso ritorno dell’ipotesi di separare la rete dell’ex monopolista dal resto dell’attività celi un bel business, ammantato di nobili principi, è lecito. Proprio le controversie in corso presto chiariranno le intenzioni. Ovvero, se si tratta di una vera opzione strategica o -al contrario- di una chiacchiera tattica per dare una mano al braccio di ferro su Fincantieri, magari dandone un’altra a Bolloré. Un fuoco fatuo, per citare un vero
grande francese, Louis Malle? Come è noto, il tycoon bretone vuole occuparsi di contenuti e di diritti sportivi. E non si può escludere che nel risiko di Tim-Telecom, Vivendi e Open Fiber spunti all’improvviso l’effigie di Berlusconi, rinfrancato dal recente incontro tra Matteo Renzi e Gianni Letta. La voce sul Mux1 della Rai è un indizio, interessante.
PS: il Patto del Nazareno è ineffabile. La Veneranda Fabbrica del Duomo di Milano, prestigiosa istituzione meneghina, ha da poche settimane rinnovato il presidente, in sostituzione di monsignor Borgonovo. Un prelato, una sorella? Un(a) biblista? No. Fedele Confalonieri. Amen.