“Fra i professionisti dell’informazione andrebbe introdotta la figura del giornalista ‘panestetico’, un reporter in grado di parlare il linguaggio della disabilità, non un giornalista disabile, ma anzi colui che non fa sentire il disabile tale. In altre parole un professionista che abbatte le barriere delle comunicazioni di massa e combatte gli ostacoli della comunicazione alternativa, cioè non verbale, non visiva o non uditiva”. La proposta è di Camilla Di Pace, 24 anni, nata a Roma e traferita a Bologna dove oggi sta concludendo gli studi al Dams, Dipartimento di arti, musica e spettacolo dell’Università. Appassionata di calcio, Camilla va allo stadio e porta sempre con sé una radiolina per seguire in diretta tutte le partite italiane e non, a partire dalla sua squadra del cuore capitanata da Totti.
Camilla all’età di 7 anni è diventata cieca a causa di una grave malattia genetica, ma negli anni il suo sogno non è cambiato. “Dopo la malattia ho dovuto seguire un percorso di riabilitazione per imparare il linguaggio braille, la scrittura per non vedenti, e altre tecniche che usano le persone cieche – spiega Camilla –. Da grande vorrei fare la giornalista sportiva e utilizzare i linguaggi che ho imparato per rendere fruibile l’informazione anche a chi non ha la fortuna di disporre di tutti i sensi. Da questa esigenza nasce il mio concetto di giornalista ‘panestetico’, cioè colui che fornisce a tutti i ciechi gli occhiali per vedere ogni tipo di comunicazione”.
Com’è possibile applicare questo concetto al mondo dei media? Secondo l’ideatrice del reporter 2.0 gli stadi dovrebbero prevedere alcune postazioni fisse per non vedenti, dove un professionista descriva la partita senza dare per scontato nessun dettaglio, svolgendo una sorta di radiocronaca. Inoltre i centri sportivi dovrebbero dotarsi di postazioni con riproduzioni in rilievo del campo da calcio per permettere ai cronisti ‘panestetici’ di indirizzare le persone sordo-cieche alle azioni sportive in tempo reale utilizzando il loro linguaggio.
Che il calcio si giochi con i piedi è un fatto scontato, ma che si veda con gli occhi no. Da qualche anno infatti, la tecnologia ha permesso alle televisioni di potenziare le tecniche di ripresa degli eventi, grazie alle inquadrature dall’alto, alle telecamere piazzate negli spogliatoi e dietro le porte, donando al telespettatore un colpo d’occhio strepitoso. Le descrizioni dettagliate dei colori e delle coreografie in campo vanno a discapito del racconto del match del telecronista, il quale spesso omette alcune informazioni, come i movimenti di gioco o le direzioni di attacco delle squadre, ritenute dettagli scontati. Ecco che allora i tifosi non vedenti si trovano svantaggiati. Diversa è la dinamica della radio, dove invece il radiocronista è attento a descrivere ogni particolare di gioco, dagli schieramenti, agli schemi, ai posizionamenti dei giocatori, consapevole che il pubblico non vede in prima persona la gara, ma solo grazie al suo racconto. Questa tecnica oggi è sempre più in disuso, ma secondo Camilla, “il professionista ‘panestetico’ può utilizzarla per soddisfare le esigenze di un pubblico oggi escluso da molti contenuti”.
“Qualche mese fa una guardia civica del museo Medievale di Bologna mi ha permesso di svolgere una visita guidata descrivendomi tutte le opere in maniera molto dettagliata e permettendomi di toccare l’arte indossando dei guanti – racconta la ragazza – È stata un’esperienza emozionante perché per la prima volta quei capolavori li ho visti anch’io. Promuovendo campagne informative e gruppi di pressione rivolti alle istituzioni e alle università, finalizzati alla formazione di professionisti che parlino il linguaggio della disabilità, è possibile coinvolgere persone oggi tagliate fuori, ad esempio, dall’informazione, dall’arte, dalla musica e dalla letteratura, permettendogli così di coltivare le proprie passioni. Sarebbe bellissimo se le società sportive e il mondo dei media mostrassero tale tipo di sensibilità”.