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Tezeta Abraham, la Miss nel super-cast di È arrivata la felicità

Da oggi, 8 ottobre, in prima serata, la modella italo-etiope sarà interprete della nuova serie coprodotta da Rai Fiction e Publisbei: 'Mi sono innamorata del mio personaggio'.

Tezeta Abraham, la Miss nel super-cast di È arrivata la felicità
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7 Ottobre 2015 - 12.29


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di Nicole Jallin

La vedremo su Rai 1 in “È arrivata la felicità”, la nuova commedia sentimentale in 12 puntate ideata da Ivan Cotroneo per la regia di Riccardo Milani, Tezeta Abraham, nel ruolo di Francesca, la migliore amica della protagonista, alias Claudia Pandolfi, accanto a un cast d’eccezione che nomina, tra gli altri, Claudio Santamaria, Ninetto Davoli, Edwige Fenech, Massimo Wertmuller e Lunetta Savino.

Lei, Tezeta, nata in Etiopia trent’anni fa, romana da sempre, con fisico statuario e una cascata di riccioli neri, arriva sul piccolo schermo dopo una carriera costruita sulle passerelle, quelle delle miss – da “Miss Africa Italia”, con fascia vinta nel 2002, a “Miss Italia” nel 2010 – e quelle delle modelle, sfilando per firme quali Ferrè, Jean Paul Gaultier, Moschino, Fendi. Poi, pubblicità, spot, il cinema (con Posti in piedi in Paradiso di Carlo Verdone), presenze in Italia e all’estero come testimonial e promoter per alcuni tra i più importanti brand, e ora la tv.

Nonostante la giovane età la sua è già un’importante carriera. Come si è avvicinata alla moda e allo spettacolo?

«Tutto è cominciato dal parrucchiere, quando avevo sedici anni. Una signora s’innamorò dei miei capelli e mi disse che dovevo assolutamente partecipare a un concorso di bellezza. Possibilità che non presi in considerazione perché ero impegnata con dei lavoretti estivi, e poi non sapevo camminare sui tacchi! Certo, guardavo con ammirazione i concorsi e le sfilate in televisione, ma non pensavo di poter mai appartenere a quell’ambiente. Alla fine, nonostante le mie insicurezze, partecipai, ma senza troppe speranze. Quel concorso lo vinsi e fu l’inizio di una dedizione, con conseguenti rigidi corsi di portamento, ricerche e contatti con le agenzie di moda. Lì è cominciata la mia carriera come indossatrice: un percorso per nulla semplice, soprattutto perché essendo un settore basato principalmente su target e mercati, spesso è necessario spostarsi, andare a Londra o New York, per cogliere occasioni importanti. E io avevo il limite della cittadinanza, perché non sono nata in Italia, quindi dovevo sempre chiedere il visto, il che mi scoraggiava molto; perciò ho viaggiato poco e, oltre a Francia e Germania, ho “scelto” di lavorare principalmente in Italia, a Roma in particolare.
Certamente quello della moda è un mondo molto, molto competitivo, pieno di responsabilità persino eccessive per l’età che si ha (perché si entra che si è davvero giovanissime, poco più che bambine) e non sempre si comprendono a fondo le dinamiche e le dure regole di questo ambiente, non sempre si prende davvero coscienza di cosa si sta sacrificando, e talvolta, quando lo si capisce, è troppo tardi. Per questo “sfondare” nella moda è tanto difficile, ma se si usa la testa e si affronta la quotidianità con consapevolezza, le soddisfazioni arrivano. È un mondo complesso e tanto faticoso che però sa anche premiare».

Però le pressioni non mancano mai…

«No, non mancano mai. Anzi direi che sono costanti e provengono da più fronti: dalla passerella, dalle agenzie, dai bookers (ovvero, coloro che ti segnalano ai casting per farti lavorare) dallo stesso stilista che vuole tutto sempre al massimo della precisione. Perché nella moda, forse più che in altri ambiti, c’è un’attenzione davvero maniacale per i dettagli: niente e nessuno viene lasciato al caso, e in questa corsa alla perfezione le modelle sono spesso le persone con le quali si sfogano nervosismi e tensioni che loro devono reggere, comunque.
Una delle pressioni più forti riguarda l’alimentazione perché, per quanto l’età ti permetta di tollerare qualche peccato di gola, quando la sfilata si avvicina, una restrizione alimentare, per quanto minima, diventa quasi obbligatoria; restrizione che spesso sconfina in un regime un po’ estremo con rischi per l’organismo, fisici e psicologici. Ma questo è un approccio che si è radicalizzato nel tempo: negli anni Ottanta, per esempio, le modelle e le dive come Naomi Campbell, Cindy Craword, oltre ad essere quantitativamente molte meno, e quindi a subire meno la concorrenza, vivevano un periodo in cui la moda tendeva a vestire la donna, come una sartoria al servizio di quei corpi. Oggi, invece, la moda si è votata all’industria, ai suoi canoni prestabiliti e imposti, sempre e comunque, e a un principio chiaro: o rientri in quei canoni, o sei out. Riassumendo, la formula è: “se sei magra lavori tanto, se non sei magra lavori di meno”. Matematico».

Oltre alla moda c’è anche il cinema e la tv. Come si vede da attrice?

«Sono nella moda ormai da molti anni e ho iniziato a esserne satura, davvero stanca. Questo non significa che l’ho lasciata alle spalle ma per una modella, tranne nei casi di icone come la Campbell o Kate Moss, la carriera finisce inevitabilmente molto presto. Il confronto con il tempo che passa in fretta è costante: un tempo brevissimo entro il quale devi diventare qualcuno. E quest’ansia credo sia l’aspetto più logorante, soprattutto se confrontato con altri mestieri che ti permettono di sfruttarlo il tempo, per formarti per migliorare, per crescere.

Io ho avuto l’opportunità di conoscere il “backstage della moda”, con servizi fotografici e show-room, per esempio, e con lo sfidettamento (cioè la creazione di campionari direttamente con la modella) per Fendi, e di entrare in contatto con sarti e altri professionisti che fanno ricerca sui tessuti, che si occupano del lato pratico e non commerciale della moda. Un lato nascosto e affascinante che ho voluto approfondire studiando sartoria; studio che magari un giorno mi darà la possibilità di esprimermi creativamente come stilista. Allo stesso modo il cinema e la TV mi danno modo di apprendere, di conoscermi, di esprimermi in un linguaggio che non si limita all’apparire. In passato ho sostenuto provini ma sempre per ruoli stereotipati: l’immigrata clandestina o la domestica, o la prostituta, o la donna di qualche spacciatore. Sono nata in Africa ma sono cresciuta a Roma, ed essere sempre associata a un’immagine necessariamente “tribale” mi rattristava, quindi non ho mai investito in questa direzione. Poi, quando mi è stato proposto il ruolo di Francesca in “È arrivata la felicità”, è stato un vero colpo di fulmine: finalmente un ruolo che mi rispecchiava, un personaggio che parla italiano, anzi romano».

Lei è anche madrina di una grande organizzazione umanitaria come ActionAid che promuove campagne importanti come “Cibo per tutti”.

«Sì, e mi sento molto onorata. Sposo pienamente la battaglia che ActionAid porta avanti da oltre trent’anni intervenendo in tutto il mondo, Etiopia compresa, il mio paese di origine. Per me essere indicata come madrina di questa importante iniziativa è stato non solo motivo di orgoglio, ma soprattutto un richiamo e un dovere morale di supporto nella lotta a una realtà che oggi, nel 2015, è a dir poco intollerabile, ovvero quella ancora costringe milioni e milioni di persone a vivere senza i diritti umani fondamentali, come l’accesso a cibo e all’acqua potabile».

Uno sguardo al futuro?

«Il futuro lo vedo – anzi voglio vederlo – come l’occasione di apertura di molte strade da percorrere, sudandosi la gavetta, almeno fino a quando – spero – non avrò trovato la mia. Credo che in questo momento non sia possibile per me focalizzarmi su un solo settore, su un solo interesse. E credo che guardare al proprio futuro sia un po’ come ricercare la felicità, e cioè (come vedremo nella fiction) andare incontro a quegli istanti che arrivano per caso, certo, quando meno te lo aspetti, ma che sono comunque il frutto di una semina precedente: perché se ti dedichi a qualcosa con impegno e costanza i risultati arriveranno. E allora puoi considerarti felice, no? L’importante è che non sia una felicità a lungo termine, altrimenti saremmo sempre in estasi e non stimolati ad andare avanti».

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