La riforma dello spettacolo dal vivo deve andare avanti: èla richiesta che arriva dagli attori del cinema e del teatro italiani, dopo la sentenza del Tar che ha annullato il decreto ministeriale di riforma dello spettacolo dal vivo, bloccando anche le erogazioni del fondo unico per lo spettacolo e la successiva sospensiva del Consiglio di Stato ottenuta a stretto giro dal ministro Franceschini.
Con una lettera, firmata da oltre cento nomi della cultura e dello spettacolo, da Franca Valeri a Michele Placido, dalla grecista Eva Cantarella all’architetto Stefano Boeri, passando per Nicoletta Braschi, Claudio Santamaria, Rocco Papaleo – solo per citarne alcuni -, il mondo dello spettacolo si appella a governo e parlamento perché non vengano vanificate le novità della riforma e si arrivi presto anche a una legge quadro per il settore.
Tra le firme anche Adriana Asti, Anna Bonaiuto, Giuseppe Cederna, Luigi De Filippo, Filippo Timi, Massimo Ghini.
Di seguito la lettera:
Esprimiamo la nostra profonda soddisfazione per la sospensiva urgente concessa al Mibact dal Consiglio di Stato all’esecutività della sentenza del TAR Lazio sul D. M. 1 luglio 2014 e diamo atto al Governo di aver operato con tempestività ed efficacia per risolvere una drammatica impasse che rischiava di bloccare tutto il sistema italiano dello spettacolo dal vivo.
Sottolineiamo che la riforma introdotta dal Ministro Franceschini nel 2014 ha portato rinnovamento in un mondo ingessato da regole immobili da troppi anni e che, in nome della storicità di diritti acquisiti, finivano spesso per privilegiare realtà invecchiate nell’inazione e nella incapacità a rinnovarsi.
Alcune modifiche sono già state introdotte e si stava lavorando a un ulteriore importante adeguamento attraverso un dibattito costruttivo, facendo tesoro di questo primo anno e mezzo di concreta applicazione.
Certamente cambiare vuol dire selezionare. Il prezzo iniziale di ogni riforma è un po’ di impopolarità presso chi, a torto o a ragione, vede modificate le sue prospettive imprenditoriali.
La riforma ha almeno introdotto una più corretta classificazione delle categorie sia per la Prosa che per la Musica e la Danza senza trascurare la Promozione e la Distribuzione; ha introdotto criteri di oggettività nella valutazione dei risultati, premiando l’incremento del pubblico, delle giornate di lavoro (in particolare di quelle dei giovani al di sotto dei trentacinque anni), favorendo quindi l’accesso alle professioni dello spettacolo dal vivo di generazioni da anni emarginate o addirittura escluse dalla dignità del lavoro anche attraverso i criteri della continuità artistica; ha offerto al pubblico la crescita qualitativa delle imprese di spettacolo chiamate a privilegiare la presenza sul proprio palcoscenico; ha introdotto inoltre un sistema comparativo fra i soggetti appartenenti alla medesima categoria, sistema che prima non esisteva.
Vorremmo ribadire che non è vero che “l’ossessione dell’oggettività” ha penalizzato l’importantissimo criterio del giudizio di qualità: la valutazione artistica infatti influisce per il 30% a comporre il punteggio finale complessivo e bisogna riconoscere che la proposta iniziale del Mibact prevedeva per questa voce una percentuale del 40%, ridotta su richiesta degli operatori. Auspichiamo si possa tornare a quella proposta.
È utile ricordare la forza dei numeri: rispetto a 840 soggetti che hanno presentato domanda per il triennio, il 75% ha avuto un aumento di contributo rispetto al passato. Se nel nostro paese è davvero il momento di profonde e radicali riforme, deve continuare con determinazione e costanza il confronto già avviato fra categorie dello spettacolo e istituzioni, nella prospettiva di un continuo miglioramento delle regole che, nell’interesse comune, possa pervenire a una sua forma definitiva con un Codice dello Spettacolo.
È importante non rimettere in discussione le riforme quando finalmente arrivano.