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La grande sfida di Netflix

Distribuendo contemporaneamente in sala e online il sequel de La tigre e il dragone, Netflix punta a stravolgere il mercato cinematografico.

La grande sfida di Netflix
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6 Ottobre 2014 - 09.38


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nei giorni scorsi è stato comunicato l’accordo tra il gigante dello streaming online Netflix, la società di produzione e distribuzione americana The Weinstein Co. ed il circuito di sale Imax per l’uscita in contemporanea dell’atteso sequel di “La tigre e il dragone” (Crouching Tiger, Hidden Dragon: The Green Legend) il 28 agosto 2015 nelle sale selezionate Imax ed online per gli abbonati di Netflix, violando di fatto il sistema delle cosiddette window che prevedono una piuttosto rigida scaletta tra i vari tipi di sfruttamento dei film, con la priorità esclusiva della sala.

Un accordo tra l’altro definito ‘primo’ dalle parti, il che lascerebbe intendere che non sarà l’ultimo. La reazione, durissima, degli esercenti americani e non solo, non si è fatta attendere. Amc, Regal, Cinemark e Carmike, assieme al canadese Cineplex ed a Cineworld, secondo circuito europeo per numero di schermi, hanno annunciato il boicottaggio del film, impedendogli di fatto di uscire nelle loro sale cinematografiche. Prima d’ora, a parte qualche caso sporadico e non significativo di piccoli film distribuiti online e contemporaneamente in poche sale, l’unico tentativo serio di forzare il blocco è stato fatto nel 2011 da Universal che progettava di distribuire la commedia “Tower Heist” con Eddy Murphy in Video On demand a 60$ tre settimane dopo l’uscita in sala. Ed anche allora gli esercenti si opposero, costringendo Universal a fare marcia indietro.

Stavolta invece i Weinstein molto probabilmente resteranno nelle loro posizioni, anche se rischiano di perdere molti soldi, considerando che il primo film La tigre e il dragone uscito ad agosto 2000 ha incassato 213 milioni di dollari, di cui 128 negli Usa. C’è da dire che, con il solo sfruttamento del mercato cinese, che allora era pari a zero, e dove Netflix non è arrivata e forse non arriverà mai, un film del genere può incassare anche più di quanto ci si può attendere da quello americano. Ed inoltre il gigante Netflix, diffuso in poco meno di 50 nazioni e con circa 55 milioni di abbonati per questa operazione è disposta a pagare molto, come in passato con la produzione di House of cards, che all’epoca, con un budget di 100 milioni, sembrava un passo più lungo della gamba per una società di ex noleggio video che puntava tutto sullo streaming in abbonamento. Quindi non c’è il minimo dubbio che Netflix continuerà ad andare avanti come un treno, perché il suo ambizioso piano di sviluppo globale non può che passare sul corpo ‘vivo’ di Hollywood. Tra l’altro è di oggi la notizia che Adam Sandler, un personaggio sicuramente di rilievo dell’industria cinematografica, ha firmato un contratto per produrre e interpretare quattro film in esclusiva per Neflix. Quattro film con budget tra i 50 e gli 80 milioni di dollari ciascuno.

Non è chiaro a questo punto cosa farà la Sony, visto che la major aveva un first deal contract con l’attore. I maligni dicono che Sandler dopo l’insuccesso del suo ultimo film “Blended”, che ha incassato solamente 46,5 milioni di dollari in nordamerica, e il tiepido successo dei due precedenti (That’s My Boy e Jack and Jill), ha trovato una via di fuga ricoperta d’oro. Ma non è di certo una consolazione per le major che per fare cassa hanno fatto crescere, con i loro film e serie tv, un ‘mostro’ che vuole cambiare le regole del loro gioco. Ma cosa pensano veramente le major? Se la maggior parte degli executives afferma – come riportato da un recente articolo di Variety – che nell’era di internet le windows debbano essere cambiate, soprattutto in relazione allo sfruttamento in streaming e Vod, sul come e soprattutto sul quando sembra che nessuno voglia esporsi. L’unico che sembra avere le idee chiare è il Ceo di Dreamworks Animation Jeffrey Katzenberg che auspica un taglio progressivo (in dieci anni) delle windows tra uscita in sala e uscita online da tre mesi a tre settimane, e propone un livellamento ‘a centimetro’ ovvero secondo la grandezza del proprio schermo dei prezzi per gli spettatori della filiera. Quindi 15$ (come oggi) per lo schermo cinematografico, 4$ per uno schermo tv, fino a scendere a 1,99$ per uno smartphone. Una provocazione o una base di discussione tra i vari player? Di certo lo status quo non conviene a nessuno, ed in particolare agli esercenti, che adesso possono legittimamente negoziare da una posizione di forza, e la guerra meno che meno.

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