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Due amici chiacchierano e così facendo rivisitano il mondo dei Boomers

I profondi motivi che hanno portato alla rivisitazione del testo del drammaturgo Hanif Kureishi "The spank". Al Paioli di Torino dal 2 al 13 febbraiodello spettacolo The Spank che sarà al teatro intervista a Valerio Binasco

Due amici chiacchierano e così facendo rivisitano il mondo dei Boomers
ph Luigi De Palma
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31 Gennaio 2022 - 22.53 Globalist.it


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di Alessia de Antoniis
Dopo il successo di Torino, Il Parioli ospiterà dal 2 al 13 febbraio 2022 il debutto dell’ultimo lavoro teatrale di Hanif Kureishi: THE SPANK. Un debutto speciale che vede per la prima volta insieme due amici, attori e registi come Filippo Dini e Valerio Binasco.

Un testo scritto da un drammaturgo inglese di origini pakistane che vede la luce per la prima volta al mondo e che Monica Capuani e Filippo Dini hanno tradotto e adattato per il pubblico italiano. Ma solo tradotto o anche tradito?
Una cosa che abbiamo dovuto tradire – racconta Valerio Binasco – il fatto che questi personaggi fossero degli immigrati. Qui da noi non avrebbe avuto lo stesso significato. Kureishi poi, ha scritto un un testo nella lingua parlata, con dei modi di scherzare tipicamente inglesi che abbiamo dovuto necessariamente riadattare.
The Spank affonda la lama in quelle che sono le criticità, le paure, i fallimenti dei cosiddetti Boomers. Vargas, il suo personaggio, le ha messo davanti qualche sua criticità?
Sì, mi ha messo davanti tanta roba. The Spank porta in scena due amici che annaspano, prossimi all’annegamento, nel mare dei loro problemi.

Il difficile, dal punto di vista attoriale, era rendere quella parlata spiritosa e continua che Sonny e Vargas hanno fra di loro. Come quando due amici di lunga data parlano del più e del meno, delle vacanze, della partita di calcio, di donne. Distanziati però da quel tipo di conversazione che devi mantenere in un pub.
La prima difficoltà era dirsi cose importanti sull’amore, sulla solitudine, sul tradimento, sull’invecchiare, sulla paura dei figli, sulla paura di vivere in generale. Sul passare dall’età adolescenziale all’età adulta, sul rispecchiarsi in figli che però sembrano essere molto più maturi di loro. Tutto ciò senza farne un testo filosofico, ma chiacchierando del più e del meno. Mantenersi leggeri parlando di temi che normalmente affrontiamo con un immane pesantezza. Uno fra tutti quello della separazione.

La seconda, era che questo bastardo di Vargas stava andando a parlare dentro al mio cuore. Come interprete avrei dovuto dire: c’est moi. È sempre una sfida interessante, per un attore, camuffare la propria autobiografia nei panni di un personaggio.

Siete due registi su un palcoscenico, ma stavolta lei si è lasciato dirigere da un altro regista…
Siamo due attori che fanno i registi. Questo sicuramente ha facilitato le cose. È stato piacevolissimo farsi dirigere dopo aver fatto il regista e l’attore tante volte nei miei spettacoli. Ero stordito dall’udire sempre la mia voce. Poter stare dentro l’immaginazione di qualcun altro è liberatorio. Però sì, ce lo siamo detto subito: come facciamo? Siamo due registi. Filippo ha detto: bellissimo! Tu prepari il tuo personaggio, io il mio. Poi ci vediamo direttamente in scena.

Neanche la pandemia ha ucciso il teatro. Ma questo teatro muore o no? Già Aristofane ne Le Rane ….
È un esempio che cito sono sempre anch’io. È dai tempi in cui Aristofane manda Dioniso all’inferno a resuscitare Sofocle e Eschilo che il teatro muore. La risposta è: sì, il teatro muore! Ma non è morto. Il teatro sta morendo da sempre, eppure è lì. E non muore mai proprio grazie a questa condizione di non essere mai del tutto vivo, per cui non è mai davvero del tutto morto. Nonostante il covid, le guerre, gli attentati, la televisione, Netflix, la gente a un certo punto esce di casa. E, nonostante debbano vestirsi, trovare parcheggio, arrivano. A Torino abbiamo avuto teatri pieni nonostante Omicron. Il teatro è un po’ ipocondriaco, ci vuole sempre conquistare con la sua fragilità, ma è quanto di meno fragile io abbia mai incontrato nella mia vita.

Va di moda contaminare il teatro con tecniche cinematografiche. Questo rende il teatro più intellegibili ad uno spettatore abituato al video?
No. Il teatro è intellegibile quando è bello. Poi, se uno lo fa bene con i video oppure adoperando un manico di scopa, è uguale. Il teatro non ha bisogno di supporti per risultare più fruibile. Se è brutto, puoi usare tutti gli effetti cinematografici che vuoi, ma resta brutto.

Su Youtube si può vedere “Dov’è finita la normalità”, il documentario realizzato da Lucio Fiorentino durante l’allestimento e le prove di “The Spank” . Ci sono riprese bellissime di parti dello spettacolo. Il teatro in televisione è un’eresia o no?
Ma scherzi? Sono stupidaggini… Se lo fai bene allora evviva! Se lo fai male, con due macchine da presa che riprendono la diretta, hai una registrazione odiosa e inutile. Non sarà lo stesso spettacolo, sarà un’altra cosa, ma sarà fruibile e piacevole. Io su YouTube ho visto delle riprese che altrimenti non avrei mai visto.

Il teatro ha tanti nemici. Tra questi i politici, voraci di poltrone. Si dice sempre di affidare le direzioni dei teatri agli artisti. L’Eliseo è morto ed era gestito da un’artista. Come la mettiamo?
No, è stato gestito da un politico. Che è anche un artista, ma la sua anima politica ha prevalso. Poi lui si difenderà dicendo che è stato costretto a tutelarsi con la politica. Ma non è l’Eliseo il problema. Il problema è un aggravarsi delle ingerenze politiche nelle scelte dei teatri. Un politico che si intrufola come uno sgradito intruso nella vita di un teatro, compie un’azione con un ritorno economico e di immagine bassissimo. Ma in molti casi realmente tormentano il teatro. Come direttore artistico del Teatro Stabile di Torino, posso dire che a Torino questa situazione non c’è.

Se uno propone a un gruppo di amici di andare a teatro, la domanda classica è “A vedere chi?”. Un attore famoso di cinema e televisione, non si sa per quale strano motivo, sembra essere una garanzia anche in teatro. Il regista: un carneade. La nuova drammaturgia: una selva oscura. Al Parioli siete due registi, con una drammaturgia contemporanea di un autore straniero, e voi siete i primi al mondo a portare in scena The Spank….
A Torino ha riscosso molto successo. C’è sembrato uno spettacolo popolare, che sembra un film, con una recitazione non “teatrosa”. Riteniamo giusto, visto che Kureishi ha affidato la prima mondiale ad una compagnia italiana, onorarlo portandolo in turnée. Credo sia un peccato che da parte di alcuni teatri nazionali o pubblici ci sia poca attenzione a spettacoli del genere. Siamo poi davvero felici di poter aiutare gli amici del Parioli che riaprono un teatro. In un simile momento è un’operazione coraggiosa. Siamo una compagnia di un teatro nazionale e abbiamo dei doveri nei confronti di chi vuole contribuire a far conoscere delle cose che ci sembrano belle. Sono molti anni che riempio teatri facendo dei classici.

Nel caso degli autori, la star è Shakespeare o Goldoni. Ma noi teatranti dobbiamo riconquistarci la fiducia del pubblico. Una volta c’erano le star del teatro. Andavi a vedere Albertazzi, Gassman, Lina Volonghi. La fiducia del pubblico verso il teatro è venuta meno perché il pubblico si è beccato il trentennio dei registi. Lo spettatore dice: io non ho voglia di non capire, annoiarmi, vedere cose avulse dalla realtà. Il pubblico ha dalla sua una virtù straordinaria: che non è appassionato di teatro. Ci va perché gli piace. Continueranno a chiedere chi c’è? La Finocchiaro? Bene… vanno perché si fidano di lei. Poi magari la Finocchiaro fa Bernhard e il pubblico non sa chi sia, ma si fidano di lei. Il regista non sanno chi sia, ma tanto non si fidano. Secondo me l’imperativo popolare che dobbiamo avere noi registi e attori di questa generazione di Boomers, di scoppiati, è ritrovare la missione culturale del teatro e recuperare pubblico. Bisogna ricostruire, dopo i registi – bulldozer che, negli anni passati, hanno staccato i fili con quella che era una tradizione di fiducia del pubblico col teatro.

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