Marco Baliani: “Così ad Ancona abbiamo fatto teatro in piazza nell’era della pandemia” | Giornale dello Spettacolo
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Marco Baliani: “Così ad Ancona abbiamo fatto teatro in piazza nell’era della pandemia”

Pubblichiamo un brano del drammaturgo e attore dal libro su uno spettacolo particolare creato da Marche Teatro, “L’attore nella casa di cristallo”

Marco Baliani: “Così ad Ancona abbiamo fatto teatro in piazza nell’era della pandemia”
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19 Novembre 2020 - 10.26


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Come può darsi una rappresentazione teatrale quando il rito millenario fondato su un patto tra spettatori, artisti e organizzatori è alterato drasticamente dalle misure anti-Covid? Un libro, dal quale pubblichiamo un brano dell’attore, regista, drammaturgo e scrittore Marco Baliani, dà conto di un’esperienza particolare che può suggerire idee e pensieri e ha implicazioni di varia natura, volendo anche positivamente inquietanti: “L’attore nella casa di cristallo. Teatro ai tempi della Grande Epidemia” di Baliani e Velia Papa (Titivillus Teatrino dei Fondi edizioni, pp. 104, ill., € 18,00).

Il volume rende conto dello spettacolo “L’attore nella casa di cristallo” prodotto da Marche Teatro (“Marche Teatro Teatro di rilevante interesse culturale” è il nome ufficiale), andato in scena dal 15 al 28 giugno alla riapertura dei teatri, nel piazzale antistante il Teatro delle Muse di Ancona, ideato dalla direttrice Velia Papa, scritto e diretto da Baliani. Cos’aveva di particolare? Gli attori Petra Valentini, Michele Maccaroni, Eleonora Greco e Giacomo Lilliù per due settimane, a coppie di due, hanno fatto performance chiusi in una teca trasparente senza contatti con il pubblico. Gli attori recitavano brani di testi, di canzoni, interpretavano passi di danza e gli spettatori, a numero contingentato, con una ricetrasmittente ascoltavano le loro parole e canto. “La singolare forma dello spettacolo emersa su quella piazza antistante il Teatro delle Muse di Ancona è riuscita nell’intento di creare un cortocircuito delle percezioni e forse un’impennata delle coscienze”, scrive in un comunicato Marche Teatro. Su questo e sull’essenza del teatro stesso riflette Baliani in questo brano che pubblichiamo su gentile concessione dell’editore.

Marco Baliani: Appunti di drammaturgia

“In un primo momento l’intuizione di Velia Papa era più estrema e affascinante. Gli spettatori muniti di auricolari avrebbero dovuto essere “random”, dei passanti, nomadi, che potevano restare il tempo che volevano e poi andarsene ascoltando dunque solo frammenti delle performance.
Ma questa idea, che sarebbe stata ancor più performativa, non faceva i conti con il problema della sicurezza, del distanziamento, della sanificazione.
Alla fine però credo che la soluzione adottata di necessità sia stata più forte simbolicamente.
Nell’altro caso avrebbe prevalso il concetto di “installazione”, le teche con gli attori dentro sarebbero state solo una “esposizione” artistica, alla Abramovic. Invece così è ancora il teatro ad esporsi e le teche acquistano una evidente forza metaforica. Rimandano a un teatro negato, sono simbolicamente “cose politiche”.
Il soliloquio spezza qualsiasi possibilità di sviluppo di un percorso psicologico, azzera il senso, affastella diversi segni, come file che attraversano l’animo dell’attore imprigionato producendo lacerti di discorsi, battute, gestualità senza nessi tra loro.

Avevo chiaro che dovevamo riuscire a creare un testo molto velocemente, e che la forma migliore per immaginarlo era quello di un arazzo barocco, di una superficie dove avvengono più accadimenti, dove l’occhio non sa dove posarsi né è guidato a compiere un percorso univoco.
L’ascolto in cuffia poi permetteva di spaesare ancora di più il contesto.
Ogni frammento del testo è giustapposto senza un ordine storico e senza consequenzialità di causa-effetto. I passaggi da un pezzo a un altro avvengono per simbiosi, o assonanze di suoni, o per atmosfere, oppure attraverso segni vuoti, afasie.
Soliloquio e arazzo erano dunque le scelte drammaturgiche che andavo proponendo, senza però irreggimentarle in assiomi o certezze, ma saggiandole via via. Quello che gli attori percepivano come un testo che si andava filando giorno dopo giorno era sorretto da una forma precisa anche se non immediatamente visibile. Gli attori posti in gabbia ed esposti come reperti di un teatro che fu, in uno zoo, non posseggono più la chiave dell’interpretazione, restano senza possibilità di sdoppiamento, perciò per sopravvivere si aggrappano a questo soliloquiare senza connessioni di realtà, senza rispecchiamenti e rimandi.

Dunque che si cominci, il pubblico si dispone, viene istruito sui canali di ascolto della ricetrasmittente, può leggere il foglio esplicativo, sapere del mondo senza necessità di teatro.
I due attori sono già dentro le case di cristallo, chissà da quanto, da sempre? Sono indifferenti a ciò che avviene intorno, attendono. Passa del tempo. Quando finalmente tutti si sono seduti, con le loro mascherine in volto, due “guardiani” vanno verso le teche e accendono le luci.”

Il sito del Marche Teatro

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